mercoledì 12 luglio 2017

Irréversible (Irréversible, 2002) di Gaspar Noé

La bella Alex e l’inquieto Marcus sono una coppia affiatata e innamorata. Durante una festa in cui si recano insieme al logorroico Pierre, ex fidanzato di Alex, la donna, irritata dal comportamento esagitato di Marcus, che ha sniffato troppa cocaina, decide di tornare a casa da sola, ma viene aggredita, selvaggiamente stuprata e infine massacrata di botte da un folle depravato in un sottopassaggio pedonale. Quando Marcus e Pierre scoprono l’accaduto decidono di vendicarsi ad ogni costo e si mettono sulle tracce dell’assalitore. La loro caccia li conduce in un infimo locale gay dove Marcus, pazzo di rabbia e strafatto di droga, uccide un innocente distruggendogli il volto a colpi di estintore. Film scandalo annunciato del Festival di Cannes 2002, diretto da un regista dalla mano pesante che ha nella provocazione programmatica la sua missione, è un turpe e caotico delirio di sangue, sesso, brutalità, efferatezze, perversioni, trivialità e stravizi che mirano unicamente a scioccare lo spettatore colpendolo allo stomaco nella maniera più rude. Al di là di ogni forma di moralismo, che il sottoscritto ha sempre esecrato, va detto chiaramente che chi ha parlato di “pornografia della violenza” riguardo a questa pellicola non è di certo molto lontano dalla verità. Risulta miseramente patetico il labile tentativo di fornire una presunta dignità artistica autoriale a questo bieco filmaccio attraverso equilibrismi stilistici (la storia ci viene raccontata al contrario, come in Memento, partendo dal postribolo omosessuale denominato “Rectum”, raffigurato come un inferno dantesco, e finendo come un idillio bucolico con la protagonista che sorride distesa su un prato, sulle note della 7° sinfonia di Beethoven) o sperimentazioni tecniche (il sonoro e i movimenti di camera della prima parte sono così volutamente disturbanti da provocare reazioni fisiche, come vertigine o mal di testa, nel pubblico). Non è possibile giustificare in alcun modo la controversa sequenza centrale, interminabile e insostenibile, di ben nove minuti consecutivi in piano sequenza, in cui ci viene letteralmente sbattuto in faccia l’animalesco stupro e il disumano pestaggio subito da Alex (Monica Bellucci). Una sequenza così profondamente sconvolgente per il suo morboso voyeurismo, per la macabra abbondanza di dettagli (in cui proprio nulla ci viene risparmiato), per la prolungata insistenza e per l’evidente compiacimento sadico, da rendere intollerabile la sua visione anche al pubblico più scafato in materia di cinema estremo. La presenza nel cast di una delle coppie più cool dell’epoca (Vincent Cassel e Monica Bellucci) aumentò a dismisura l’hype del film, sancendone poi anche la relativa “fortuna” commerciale, al punto che molti andarono a vederlo solo per assistere al famigerato “stupro della Bellucci”, restandone poi in larghissima parte sconvolti (e non oso nemmeno pensare al modo di essere della parte rimanente). E’ un vero peccato spendere tante parole per un’opera del genere, che non va ovviamente nè bandita nè tagliata (perchè la libertà di espressione è un bene superiore ad ogni posizione censoria), ma semplicemente criticata, proibita ai minori e descritta per ciò che è: una infame accozzaglia di perversioni, nefandezze, crudeltà e disumanità gratuite, condite con un aberrante surplus ideologico a base di sadismo, maschilismo, omofobia e misoginia. E l’incauto spettatore dovrebbe sorbirsi tutto questo solo per arrivare a capire (in base al vacuo presunto “messaggio” di fondo dell’opera) che “il tempo distrugge ogni cosa”, ovvero che “tutto scorre e nulla permane”, cosa già detta da Eraclito 2.500 anni fa. Ma forse, a pensarci bene, la cosa più offensiva e indecente di questo film di Gaspar Noé è la sua implicita equazione concettuale che pone sullo stesso piano violenza e piacere. Ed è probabilmente proprio questa la cosa che ti fa sentire maggiormente “sporco” dentro a fine visione.

Voto:
voto: 1/5

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