Storia (romanzata) del pugile James J. Braddock, che durante i difficili anni della Grande Depressione divenne un eroe popolare, un simbolo di speranza e di riscatto collettivo, per la sua tenacia e la sua resilienza alle avversità. Braddock è un irlandese cresciuto nei sobborghi di New York e una promessa della boxe nella categoria dei massimi leggeri. La frattura di una mano provoca la fine anticipata della sua carriera e lui si arrangia come può per mantenere la famiglia, lavorando saltuariamente come portuale. La crisi economica lo manda sul lastrico ma Braddock non si perde d'animo e decide di tornare a combattere, correndo tutti i rischi del caso. Vince tre incontri grazie al suo coraggio, salda i suoi debiti ma l'ultimo ostacolo sul suo cammino sembra al di là dei suoi limiti: il campione del mondo in carica Max Baer, un brutale colosso tutto rabbia e muscoli che ha già ucciso due avversari sul ring. La vicenda umana di Braddock ha acceso la fantasia popolare e la gente che soffre è tutta dalla sua parte. Ma basterà per sopravvivere contro il terribile avversario? Biografia sportiva di Ron Howard sulla vita emblematica di un improbabile campione sportivo, che seppe gettare il cuore oltre l'ostacolo e superare i suoi limiti, diventando icona di riscatto sociale in uno dei momenti storici più difficili per gli Stati Uniti d'America. Dal punto di vista tecnico è un film eccellente, forte di una ricostruzione d'epoca sontuosa, di un'affascinante fotografia dalla patina "antica" e di una grande squadra di attori, in cui Russell Crowe, Paul Giamatti e Craig Bierko sono praticamente perfetti (invece Renée Zellweger è il punto debole del quadrilatero). Fedele alla sua concezione di cinema popolare e ottimista, Howard abbraccia totalmente la connotazione epica del racconto, facendone un apologo populista del Sogno Americano ed un inno retorico alla caparbietà del proletariato e ai valori della famiglia. Ma più avvicinarci alla dimensione mitica di memoria fordiana (a cui probabilmente l'autore ambiva), siamo dalle parti di una favola buonista carica di enfasi edificante e quindi fin troppo ingenua e sempliciotta. Tra gli elementi storici romanzati, rivolti ad alimentare l'effettismo sentimentale che pervade il film, citiamo: il soprannome di Braddock, che dà titolo alla pellicola ("Cinderella Man" ovvero "Cenerentolo"), non gli fu dato dalla gente ma dallo scrittore Damon Runyon. E l'antagonista Max Baer viene ritratto come uno spietato cattivo a tutto tondo, che si vanta di aver ucciso due uomini sul ring e fa pubbliche avance alla moglie di Braddock per offendere e sminuire il suo sfidante. La cosa fece arrabbiare parecchio i parenti di Baer, che rigettarono gran parte delle cose mostrate nel film come falsi storici tendenziosi, volti a fornire un'immagine monocorde e sgradevolmente negativa del campione, esagerandone faziosamente gli aspetti truci. Howard difese i suoi sceneggiatori (e sè stesso) appellandosi al fatto che, nell'immaginario collettivo dell'epoca, la reputazione di Baer era in linea con quella mostrata nella pellicola, anche per colpa di certa stampa scandalistica che sguazzava nell'esasperazione di certi personaggi dal profilo controverso, in cui il pugile ricadeva alla perfezione. Ma il pubblico, che a volte dimostra di essere più intelligente della critica, ha probabilmente captato l'aureola troppo esemplare dell'opera, decretandone uno scarso successo al box office.
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