domenica 4 gennaio 2015

Il conformista (Il conformista, 1970) di Bernardo Bertolucci

Alla vigilia del secondo conflitto mondiale, Marcello Clerici, spia al soldo della polizia politica del regime fascista, si reca a Parigi, in luna di miele, con la bella moglie Giulia. Ma il viaggio è una copertura che nasconde una missione segreta: l’eliminazione del professor Luca Quadri, suo vecchio insegnante di filosofia, che è un dissidente antifascista riparato in Francia per sfuggire alle persecuzioni politiche. Ma il pavido Marcello, uomo lubrico e senza qualità, s’invaghisce di Anna, la giovane e procace moglie del professore, e, avvinto dalla libidine, inizia ad esitare, mettendo in discussione la sua “fede” nel partito, verso il quale era stato sospinto, anni prima, da un traumatico senso di colpa per un presunto delitto a sfondo sessuale e dal suo atavico opportunismo. Tratto dal romanzo omonimo di Alberto Moravia, è il capolavoro assoluto di Bertolucci, il suo miglior film, purtroppo quasi sconosciuto ai non cinefili. Sontuoso dramma storico di incredibile eleganza e raffinata impaginazione, a cui la splendida fotografia del grande Vittorio Storaro dona uno splendore visivo, un’esuberanza cromatica ed un’espressività stilistica di magistrale fattura e di preziosa suggestione. L’utilizzo geniale delle luci e le inquadrature oblique ci immergono completamente in un limbo di ipnotico straniamento, che rappresenta la personalità inquieta e multipla del protagonista, un vigliacco insicuro, un camaleonte politico, sempre pronto a schierarsi con i più forti per nascondere la propria innata codardia. E Bertolucci rende questo pusillanime, che cade sempre in piedi, il simbolo dell’italiano medio di quegli anni oscuri ed amari: un ipocrita voltagabbana in balia del vento mutevole della storia, un giorno sostenitore osannante del regime e quello dopo antifascista radicale. Attraverso le subdole “gesta” di Marcello Clerici, il regista riesce a fornire una lucida e sconsolante istantanea del periodo più oscuro e vergognoso della storia italiana, in cui l’ambiguo divenne il paravento necessario alla sopravvivenza ad ogni costo. Geniale l’idea di rendere il tormento esistenziale e politico del protagonista, e quindi dell’Italia intera di quegli anni, attraverso il mito della caverna di Platone, attingendo ad una teoria di astrazione superiore e, quindi, di portata universale. Con un montaggio concentrico fatto di continui slittamenti temporali, il film si arricchisce del doppio livello narrativo che mescola abilmente l’erotismo alla politica in una commistione conturbante ed intellettualmente stimolante. Maturo ed onesto, coraggioso e provocatorio, questo splendido apologo dell’ambiguo contiene in forma già florida tutte le tematiche care al regista parmense: il sesso voluttuoso, sia in forma etero che omo, l’impegno politico, la critica storica, la lettura problematica delle relazioni umane, e, non ultima, l’adorata Parigi, simbolo vivente di un immaginario possibile di libertà e trasgressione. Da segnalare anche il cast straordinario con Jean-Louis Trintignant, Stefania Sandrelli, Dominique Sanda e Gastone Moschin. E infine una gustosa curiosità: l'indirizzo e il numero di telefono del professor Quadri, la vittima predestinata, corrispondono a quelli del regista Jean-Luc Godard, maestro spirituale di Bertolucci insieme a Pasolini, che quindi intende, con questo film, “uccidere” metaforicamente il suo tributo artistico con il geniale autore parigino, come segno di una consapevole raggiunta maturità.

Voto:
voto: 5/5

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