
A Tulsa, Oklahoma, vive Rusty James, un sedicenne sbandato e violento,
svogliato a scuola, con padre alcolizzato, madre fuggiasca ed un’idolatria per
il fratello maggiore, partito per la California sulla sua moto. Rusty è un ragazzo di
strada, che trascorre il suo tempo tra risse e pericolose sfide notturne con la
gang di teppistelli di cui è capo indiscusso. Un giorno l’adorato fratello
ritorna, ma le cose non andranno affatto nel modo sperato dal giovane Rusty.
Coppola ritorna sul tema delle bande giovanili di strada dopo il precedente
I
ragazzi della 56° strada, adattando nuovamente un romanzo di Susan Eloise
Hinton, scegliendo la medesima ambientazione (Tulsa), lo stesso attore
protagonista (Matt Dillon), ma con personaggi diversi ed una splendida fotografia
in bianco e nero al posto del fiammeggiante colore del predecessore. Per questi
motivi
Rusty il selvaggio viene solitamente, ma un po’ impropriamente,
definito come un seguito ideale de
I ragazzi della 56° strada. Stilisticamente
gelido nel suo bianco e nero, che si compiace di spiazzare lo spettatore con
lampi espressionisti che rimandano al cinema tedesco degli anni ‘20,
quest’opera autorevole dai tratti onirici si pone come una lucida riflessione
sul malessere sociale della provincia americana, in cui vizio, degrado e
mancanza di prospettive sociali generano un’aberrante sottocultura della
violenza come unico mezzo di espressione tribale per ottenere un’affermazione
individuale che sia riconosciuta dalla comunità. Il contesto ambientale è
mostrato con una ricostruzione antirealistica, angosciante e visionaria, quasi
sospeso in un limbo di allucinata sospensione, perché filtrato attraverso la
soggettiva inquieta di Rusty. Dal punto di vista estetico Coppola dà sfogo al
suo innato barocchismo citando a ripetizione Lang, Ejzenštejn e persino
Welles per l’utilizzo sfrenato del grandangolo, dando così vita ad un film
ricchissimo, prezioso ed assolutamente artistico per la spiccata
verve
creativa che mira alla suggestione simbolica più che all’esposizione didascalica.
Oltre al protagonista vanno segnalate le buone interpretazioni di Mickey Rourke
e Dennis Hopper, nei panni del fratello e del padre di Rusty. Assolutamente
geniale, e di finissima valenza simbolica, il paragone tra i giovani sbandati
ed i pesci combattenti del titolo originale, gli unici ad apparire a colori
nella sequenza dell’acquario; come espresso a chiare lettere da Rusty, i pesci,
probabilmente, non combatterebbero tra loro se non fossero costretti in uno
spazio angusto ma nuotassero liberi, nel fiume. La metafora è evidente.
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