King Kong (King Kong, 1933) di Merian C. Cooper, Ernest B. Schoedsack
Negli
anni della Grande Depressione americana il pittoresco regista Carl Denham convince la giovane Ann Darrow, attrice in
cerca di successo, a seguirlo in un pericoloso viaggio a Skull Island, isola
tropicale dalla sinistra fama, per girare un film d’avventura realistico ed
estremo. L’obiettivo è risollevare le sue sorti finanziarie, ormai sull’orlo
della bancarotta, ma, una volta giunti sull’isola, si troveranno di fronte un
letale mondo perduto abitato da creature mostruose e dominato da Kong, un
feroce gorilla gigantesco. La bestia cattura la bella Ann e se ne innamora,
portandola nella sua tana. Gli uomini decidono allora di catturare la grande scimmia
per portarla in America e sfruttarla come fenomeno da baraccone. Ma Kong, una
volta giunto in catene a New York, riesce a liberarsi e va in cerca della “sua”
Ann. Pietra miliare del cinema fantastico e grande successo commerciale, ha
creato un’icona assoluta, il gorilla Kong, entrata prepotentemente
nell’immaginario collettivo grazie agli stupefacenti effetti speciali in stop
motion, assolutamente innovativi per l’epoca. Spettacolare revisione
dell’antico tema de la bella e la bestia, ne estende l’ambito e la portata
immaginifica con un efficace mix tra grande avventura esotica e critica al
sistema capitalistico americano, che non esita a depredare un mondo,
distruggendolo, per i suoi fini speculativi. Ha, ovviamente, perso forza ad una
visione attuale perché i mirabolanti effetti visivi degli anni ’30 fanno
sorridere lo smaliziato pubblico contemporaneo, ma ciò non ne attenua la forte
valenza simbolica che si esplica in una sottile, ma conturbante, carica erotica
rappresentata con allegorie oniriche. Ha consegnato ai posteri almeno una
sequenza leggendaria, fonte d’ispirazione per tanto cinema a venire: Kong che
si arrampica sull’Empire State Building tenendo Ann in una mano. Visto
l’impatto culturale e di costume della figura di Kong, il film ha avuto vari
seguiti ed imitazioni, e due remake degni di nota: quello di John Guillermin
del 1976, spettacolare ma fracassone, e quello di Peter Jackson del 2005,
minuzioso, appassionato ma oltre misura smodato. Per la sua velata ed
affascinante portata metaforica, irresistibile perché allusiva piuttosto che
esibita, il Kong originale del ’33 resta ancora ineguagliato.
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