domenica 4 gennaio 2015

Rusty il selvaggio (Rumble Fish, 1983) di Francis Ford Coppola

A Tulsa, Oklahoma, vive Rusty James, un sedicenne sbandato e violento, svogliato a scuola, con padre alcolizzato, madre fuggiasca ed un’idolatria per il fratello maggiore, partito per la California sulla sua moto. Rusty è un ragazzo di strada, che trascorre il suo tempo tra risse e pericolose sfide notturne con la gang di teppistelli di cui è capo indiscusso. Un giorno l’adorato fratello ritorna, ma le cose non andranno affatto nel modo sperato dal giovane Rusty. Coppola ritorna sul tema delle bande giovanili di strada dopo il precedente I ragazzi della 56° strada, adattando nuovamente un romanzo di Susan Eloise Hinton, scegliendo la medesima ambientazione (Tulsa), lo stesso attore protagonista (Matt Dillon), ma con personaggi diversi ed una splendida fotografia in bianco e nero al posto del fiammeggiante colore del predecessore. Per questi motivi Rusty il selvaggio viene solitamente, ma un po’ impropriamente, definito come un seguito ideale de I ragazzi della 56° strada. Stilisticamente gelido nel suo bianco e nero, che si compiace di spiazzare lo spettatore con lampi espressionisti che rimandano al cinema tedesco degli anni ‘20, quest’opera autorevole dai tratti onirici si pone come una lucida riflessione sul malessere sociale della provincia americana, in cui vizio, degrado e mancanza di prospettive sociali generano un’aberrante sottocultura della violenza come unico mezzo di espressione tribale per ottenere un’affermazione individuale che sia riconosciuta dalla comunità. Il contesto ambientale è mostrato con una ricostruzione antirealistica, angosciante e visionaria, quasi sospeso in un limbo di allucinata sospensione, perché filtrato attraverso la soggettiva inquieta di Rusty. Dal punto di vista estetico Coppola dà sfogo al suo innato barocchismo citando a ripetizione Lang, Ejzenštejn  e persino Welles per l’utilizzo sfrenato del grandangolo, dando così vita ad un film ricchissimo, prezioso ed assolutamente artistico per la spiccata verve creativa che mira alla suggestione simbolica più che all’esposizione didascalica. Oltre al protagonista vanno segnalate le buone interpretazioni di Mickey Rourke e Dennis Hopper, nei panni del fratello e del padre di Rusty. Assolutamente geniale, e di finissima valenza simbolica, il paragone tra i giovani sbandati ed i pesci combattenti del titolo originale, gli unici ad apparire a colori nella sequenza dell’acquario; come espresso a chiare lettere da Rusty, i pesci, probabilmente, non combatterebbero tra loro se non fossero costretti in uno spazio angusto ma nuotassero liberi, nel fiume. La metafora è evidente.

Voto:
voto: 4/5

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