mercoledì 2 marzo 2016

Truman Capote - A sangue freddo (Capote, 2005) di Bennett Miller

Nel 1959 lo scrittore Truman Capote decide di scrivere un articolo su un atroce fatto di sangue avvenuto in Kansas: lo sterminio di un’intera famiglia, a colpi di fucile, da parte di due giovani sbandati. Dopo l’arresto dei due colpevoli, Capote, sempre più attratto dal caso, cambia il suo progetto iniziale, dando così vita al suo romanzo più famoso ed ambizioso, “A sangue freddo”. Nei sei anni che separano i colpevoli dallo loro esecuzione capitale, lo scrittore instaurerà uno strano rapporto (prima epistolare e poi attraverso incontri privati nella sua cella) con uno dei killer, Perry Smith, un “mezzo sangue” desideroso di conoscenza. Cupo dramma autunnale di Bennett Miller, ispirato alla vera storia della lavorazione del romanzo inchiesta “A sangue freddo”, che divenne un’autentica ossessione per il suo autore. Lo stile seguito dal regista intende ricalcare, con intelligenza, quello tenuto da Capote nel corso della sua reale indagine: reticente, ambiguo, asettico, distaccato. E così la pellicola suggerisce ma non dice ed il suo metodo di analisi, lucido ma sfuggente, è perfettamente ricalcato sulla personalità dello scrittore, un personaggio mondano, tormentato ed enigmatico, con un’aura carismatica dai tratti oscuri. Il punto di forza assoluto della pellicola è la straordinaria interpretazione mimetica di Philip Seymour Hoffman, che praticamente diventa Truman Capote, replicandone l’aspetto, la voce, la mimica, gli atteggiamenti e, soprattutto, l’inquietante ambiguità. Vincitore di tutti i premi maggiori dell’anno, Oscar compreso, Hoffman ci regala una performance indimenticabile, prendendo sulle sue spalle tutto il peso del film. L’ossessione di Capote è quella dell’artista: creare un’opera d’arte ad ogni costo, utilizzando il medesimo “sangue freddo” del titolo per passare, machiavellicamente, su tutto: vittime, colpevoli, morale e giustizia. Con i proventi dei diritti cinematografici del suo libro “Colazione da Tiffany”, lo scrittore finanziò l’intera durata dell’indagine, prolungando la vita dei due assassini tramite una richiesta d’appello, per riuscire ad ottenere ciò che voleva: la piena conoscenza dell’atto criminoso, attraverso le interviste a Perry Smith, ed un degno finale per il suo libro. Il suo modo di agire, tra cinismo e narcisismo, con evidenti dubbi di “connivenza”, getta luci e ombre sul suo capolavoro letterario e pone lucidamente la questione che è alla base del film: il rapporto tra arte ed etica, ovvero la legittimità di un’inchiesta condotta sul filo del morboso rispetto ad un fine creativo. Come già detto la pellicola sceglie, saggiamente, di non dare risposte, lasciando che tutto svanisca nello sguardo enigmatico di Hoffman/Capote, autore sui generis sospeso tra genio e dannazione.

Voto:
voto: 4/5

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