Nel
1959 lo scrittore Truman Capote decide di scrivere un articolo su un atroce
fatto di sangue avvenuto in Kansas: lo sterminio di un’intera famiglia, a colpi
di fucile, da parte di due giovani sbandati. Dopo l’arresto dei due colpevoli, Capote,
sempre più attratto dal caso, cambia il suo progetto iniziale, dando così vita
al suo romanzo più famoso ed ambizioso, “A sangue freddo”. Nei sei anni che
separano i colpevoli dallo loro esecuzione capitale, lo scrittore instaurerà
uno strano rapporto (prima epistolare e poi attraverso incontri privati nella
sua cella) con uno dei killer, Perry Smith, un “mezzo sangue” desideroso di
conoscenza. Cupo dramma autunnale di Bennett Miller, ispirato alla vera storia
della lavorazione del romanzo inchiesta “A sangue freddo”, che divenne
un’autentica ossessione per il suo autore. Lo stile seguito dal regista intende
ricalcare, con intelligenza, quello tenuto da Capote nel corso della sua reale
indagine: reticente, ambiguo, asettico, distaccato. E così la pellicola
suggerisce ma non dice ed il suo metodo di analisi, lucido ma sfuggente, è
perfettamente ricalcato sulla personalità dello scrittore, un personaggio
mondano, tormentato ed enigmatico, con un’aura carismatica dai tratti oscuri.
Il punto di forza assoluto della pellicola è la straordinaria interpretazione
mimetica di Philip Seymour Hoffman, che praticamente diventa Truman Capote,
replicandone l’aspetto, la voce, la mimica, gli atteggiamenti e, soprattutto,
l’inquietante ambiguità. Vincitore di tutti i premi maggiori dell’anno, Oscar
compreso, Hoffman ci regala una performance indimenticabile, prendendo sulle
sue spalle tutto il peso del film. L’ossessione di Capote è quella
dell’artista: creare un’opera d’arte ad ogni costo, utilizzando il medesimo “sangue
freddo” del titolo per passare, machiavellicamente, su tutto: vittime,
colpevoli, morale e giustizia. Con i proventi dei diritti cinematografici del
suo libro “Colazione da Tiffany”, lo scrittore finanziò l’intera durata
dell’indagine, prolungando la vita dei due assassini tramite una richiesta
d’appello, per riuscire ad ottenere ciò che voleva: la piena conoscenza
dell’atto criminoso, attraverso le interviste a Perry Smith, ed un degno finale
per il suo libro. Il suo modo di agire, tra cinismo e narcisismo, con evidenti
dubbi di “connivenza”, getta luci e ombre sul suo capolavoro letterario e pone
lucidamente la questione che è alla base del film: il rapporto tra arte ed
etica, ovvero la legittimità di un’inchiesta condotta sul filo del morboso
rispetto ad un fine creativo. Come già detto la pellicola sceglie, saggiamente,
di non dare risposte, lasciando che tutto svanisca nello sguardo enigmatico di Hoffman/Capote,
autore sui generis sospeso tra genio e dannazione.
Voto:





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