Per riprendersi da una traumatica crisi coniugale, sfociata in tragedia con il suicidio di suo marito James dopo che lei gli aveva comunicato la sua intenzione di divorziare, la giovane Harper decide di trascorrere un periodo di auto-isolamento, affittando una magnifica villa nella remota campagna inglese. Lo stravagante padrone di casa, Geoffrey, è solo il primo di una serie di strani incontri che Harper farà una volta giunta in loco. Gli abitanti del piccolo paesino rurale sembrano avere qualcosa di sinistro, oltre che assomigliare tutti a Geoffrey. La comparsa di uno stalker che va in giro completamente nudo ed ha il corpo pieno di ferite, farà piombare la ragazza in un incubo allucinante. Questo horror britannico, scritto e diretto da Alex Garland, ha fatto immediatamente parlare di sè fin dalle prime proiezioni, grazie alle voci secondo cui molti spettatori di diverse città sarebbero addirittura fuggiti, atterriti, dalle sale. Come si sa tutto questo è, inevitabilmente, un richiamo pubblicitario irresistibile per i film dell'orrore, che ottiene puntualmente l'effetto di attirare il pubblico, solleticandone morbosamente la curiosità. Viene da pensare che queste dicerie nate intorno al terzo lungometraggio di Garland, siano state orchestrate ad arte per promuoverlo commercialmente. Trattasi, invero, di un horror onirico psicologico, con evidenti ambizioni allegoriche ed un marcato simbolismo gotico mitologico che allude al panismo, molto riuscito nella prima parte preparatoria, in cui risulta incisivo, affascinante, sottilmente inquietante e visivamente magnifico, grazie alla suggestiva fotografia dai colori saturati ed alla malinconica bellezza delle location boschive del countryside inglese. Anche gli attori sono bravissimi, dall'intensa Jessie Buckley, interprete irlandese di sicuro avvenire, al trasformista Rory Kinnear, che presta volto e corpo ad una pletora di personaggi diversi, muovendosi costantemente sul filo dell'eccesso. L'inequivocabile impianto metaforico dell'opera, che intende parlarci di sensi di colpa, traumi esistenziali e, soprattutto, dell'eterna "battaglia tra i sessi", stavolta declinata attraverso la rappresentazione delle più disparate forme di velenoso maschilismo, collocano il film sopra la media dei suoi simili, in quella fascia dei così detti horror "impegnati" che negli ultimi anni stanno sempre più prendendo piede sulla scia di registi come Jordan Peele. Peccato però che la seconda parte della pellicola perda colpi ed inciampi in un accumulo esagerato di sequenze shock un po' troppo artificiose: in particolare quella dell'epilogo, concettualmente interessante ma spiattellata con enfasi così truce da risultare parossistica, grottesca e sul filo del ridicolo involontario. Più che le due scene di efferato impatto visivo, il momento topico che resterà di questo allucinato apologo sulla misoginia è l'episodio del tunnel: magico ed angosciante nello stesso tempo.
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