La parola ai giurati (12 Angry Men, 1957) di Sidney Lumet
Dodici
giurati sono chiusi in una stanza di tribunale per decidere sulla colpevolezza
di un ragazza sbandato, accusato di aver ucciso il padre per rapina. Essendo in
gioco la sedia elettrica, e quindi la vita dell’imputato, si richiede che il
verdetto venga emesso in modo unanime. All’inizio i più propendono per la
colpevolezza del giovane ma il giurato n. 8, pungente e riflessivo, con le sue opportune
argomentazioni saprà instillare il “ragionevole dubbio” nella giuria fino
all’assoluzione dell’imputato. Straordinario esordio cinematografico di Sidney
Lumet con questo capolavoro classico e senza tempo, che costituisce una
magistrale lezione di cinema da camera arguto, raffinato, scritto benissimo e
recitato in modo impeccabile da un cast sontuoso in cui svettano Henry Fonda e
Lee J.Cobb. Antesignano del “legal thriller”, è uno dei migliori film americani
ambientati in un tribunale per la sua ammirevole capacità di coniugare denuncia
civile, rigore morale, approfondimento psicologico dei personaggi, impegno
sociale, densità tematica, compiutezza formale. La giuria dei dodici
rappresenta, evidentemente, un microcosmo simbolico della società americana in
cui ogni membro, non a caso senza nome ma individuato da un numero, è un
archetipo: dal liberale al conservatore, dal conformista al cinico, dal
razzista al superficiale. Il
tribunale è, altresì, un luogo metaforico, iconico, istituzionale, dove
confluiscono i peccati (e quindi i mali) del mondo ma anche le buone
intenzioni, gli ideali forti (la giustizia in primis) e le decisioni
importanti, quelle che determinano vite e destini e che, a volte, segnano
un'epoca storica. Nonostante una velata “perfidia”, che si esplica nella
caustica critica verso i malcostumi della società statunitense, il positivismo
tipico dell’autore, figlio della sua rigida educazione religiosa di
connotazione ebraica, non impedisce il lieto fine che, in questo caso, non
sminuisce il valore della pellicola perché coerente con la dignità morale che
ne pervade ogni sequenza. Rifatto da Friedkin nel 1997 in una più dinamica versione televisiva, è il
capolavoro del grande regista di Philadelphia.
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