Saul
è un ebreo ungherese prigioniero in un campo di sterminio nazista e reclutato
come “sonderkommando”, ovvero come aiutante degli aguzzini nell’esecuzione del
loro folle disegno criminale. Le sue attività quotidiane, vissute con dolente
assuefazione, consistono nell’accompagnare gli ignari deportati appena scesi
dai treni nelle docce della morte, ripulire la scena dell’eccidio, trasportare
i poveri corpi nudi verso i forni crematori e trafugare gli eventuali oggetti
di valore nascosti nei miseri cenci delle sventurate vittime. Ma un giorno Saul
crede di riconoscere suo figlio nel cadavere di un ragazzo e decide di
trafugarne il corpo per risparmiarlo al fuoco e concedergli una degna
sepoltura. Come pervaso da una mistica follia, l’uomo si mette alla disperata
ricerca di un rabbino che possa officiare con rito religioso la tumulazione del
ragazzo, ignorando del tutto gli evidenti rischi dell’impresa e le azioni
furtive dei suoi compagni che stanno organizzando una rivolta contro i
tedeschi. Straordinaria opera prima di László Nemes (già assistente del grande Béla
Tarr) con questo autentico capolavoro che affronta il sempre scottante tema
della Shoah con una potenza estetica, un rigore formale, una lucidità
espressiva ed un pudore di sguardo che non hanno eguali nelle numerose
pellicole finora dedicate all’Olocausto ebraico. Durante il periodo più oscuro
della storia occidentale, all’interno delle atroci “fabbriche della morte”
edificate dalla follia nazista, c’erano i sadici carnefici, le povere vittime e
anche i prigionieri “di robusta costituzione” costretti a collaborare con il
nemico nell’esecuzione del lavoro “sporco”, nella speranza di potersi salvare
la vita. In realtà, nella spietata logica delle SS, i “sonderkommando” duravano
pochi mesi, per poi essere a loro volta eliminati e sostituiti da nuovi arrivi
più “freschi”. L’emblematica vicenda di Saul è quella di un uomo annichilito
dagli orrori a cui ha assistito, abbrutito dalle condizioni di “vita” disumane
in cui è costretto e tenuto in piedi dal solo primordiale istinto di
conservazione, l’unica possibile fonte da cui attingere l’energia che gli
consente di andare avanti, come un inerte automa che annaspa in un mare di
brutalità e di dolore. Il fatale incontro con il ragazzo, che potrebbe
essere suo figlio, saprà riaccendere in lui quella scintilla di umanità annientata
da anni di atrocità e darà un senso (nella morte) alla sua non vita. La
suggestiva scelta estetica dell’autore, girare il film in formato 4:3 (come a
voler comprimere l’abominio) attraverso la prospettiva di Saul, con la macchina
da presa perennemente incollata alle sue spalle o al suo volto, costituisce la geniale
cifra stilistica ed il punto di forza assoluto di quest’opera magistrale. Attraverso
il continuo ed inquieto “pedinamento” compiuto dalla camera nei confronti del
protagonista, ci vengono pietosamente risparmiati gli orrori insostenibili che
avvengono tutt’intorno, costantemente tenuti fuori fuoco, e la pellicola
acquisice un dinamismo plastico che letteralmente ci immerge, e ci travolge, in
un claustrofobico incubo ad occhi aperti. Un incubo di truce alienazione in cui
tutte le coordinate morali sono state smarrite, da cui la dignità umana è
volata via per sempre ed in cui la pur folle impresa del protagonista appare
come l’unica cosa sensata. La disperata corsa di Saul diventa quella dello
spirito dell’uomo che cerca costantemente (per dirla alla Dante Alighieri) la
“via delle stelle” anche nel più profondo degli inferni. E il finale,
tragicamente straordinario, che sublima tutti gli orrori con l’ultimo lampo
visionario, è la chiosa perfetta per un film memorabile, capace di esprimere
eroici frammenti di disperata umanità in un semplice gesto. Una menzione
speciale va anche data all’intenso protagonista Géza Röhrig, alla fotografia
“sporca” di Mátyás Erdély ed alle musiche angoscianti di László Melis. Il film,
giustamente applaudito dalla critica di tutto il mondo, è stato meritatamente
premiato con l’Oscar al Miglior Film straniero e con il Grand Prix Speciale
della Giuria al Festival di Cannes.
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