Piccolo, e ultimo, capolavoro del grande Maestro riminese è un tenero viaggio di due fantasmi del passato nella volgarità del presente, nel quale la satira delle "mostruosità" della vita moderna (in questo caso gli orridi spettacoli delle televisioni commerciali) si sposa a una vena nostalgica e malinconica, dalla quale scaturisce un lamento per il tempo perduto, la cui memoria assume la valenza di un antidoto alla trivialità contemporanea. La critica di costume di Fellini è, ancora una volta, profetica e penetrante, e colpisce con spietata precisione i network privati, la loro invadenza nel privato delle persone (già ben prima dei micidiali "reality"), il loro sensazionalismo e le spudorate ostentazioni di falso sentimentalismo, la loro natura biecamente commerciale con lo straripare di spot pubblicitari, la famelica capacità di divorare le loro stesse creature e sfruttare l’esibizionismo di personaggi bizzarri o sprovveduti, il finto luccichio e l’artificiale allegria di spettacoli cinici e superficiali col loro corredo di ballerine e imbonitori. La controparte poetica del film (la coppia di anziani danzatori, compagni di gioventù, logorati dall’esistenza eppure capaci di ricreare l’antica sintonia e una sorta di magica sospensione temporale) rende più struggente il rimpianto del passato e più sferzante la denunzia dell’imbarbarimento attuale. Ironico, amaro e toccante è il lascito di un genio che celebra la composta bellezza del passato rispetto al grossolano chiasso del presente. Bravissimi Mastroianni e la Masina.
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