Un enfant prodige, star di film per teen agers, presuntuoso e viziato, vive con disagio la celebrità anche per colpa di una famiglia sui generis: padre psicologo dei VIP con metodi da millantatore, madre succube della fama del figlio, sorella piromane sfigurata con tendenze incestuose, allontanata da casa per problemi psicologici. Quando la scomoda sorella decide di ritornare a Los Angeles, trovando lavoro come assistente di un'attrice in declino in preda alla depressione, darà il via ad una serie di eventi dagli sviluppi tragici. Quest'ultima opera del regista canadese è una disturbante commedia nera che vira nel dramma, collocandosi tra Wilder e Lynch, come critica feroce e senza freni allo star system hollywoodiano, di cui mette in luce, con enfasi grottesca, vizi, aberrazioni e psicopatologie. Abbandonata, ormai da tempo, la sua personale ortodossia sulla mutazione della carne, Cronenberg si rivolge adesso unicamente agli abissi della mente, ai meandri oscuri dell'animo umano deformati da una prospettiva straniante, che tende all'assurdo per mostrare l'orrido in maniera "accettabile". E questo nuovo opus, a tratti potente ma anche apaticamente disconnesso, sancisce drasticamente questa nuova concezione estetica, barattando però l'audace inventiva di un tempo con una graffiante ironia che inneggia al vuoto di una piccola casta di privilegiati, le star di Hollywood, utilizzandole come emblema di un fallimento antropologico ben più grande. Il finale freudiano, che rimanda alle grandi tragedie classiche, appare come l'unica inevitabile "catatarsi" in tanta sordida desolazione umana. Nel cast brilla Julianne Moore, premiata a Cannes per l'occasione con il Prix d'interprétation féminine. Su questa pellicola di transizione si può dire, in sintesi, che Cronenberg ha fatto di meglio, ma anche di peggio.
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