Il
dottor Malcolm Sayer, neurologo mentalmente aperto alla sperimentazione, decide
di utilizzare un nuovo farmaco chiamato “L-Dopa”, utilizzato per il morbo di Parkinson,
su un paziente catatonico di nome Leonard Lowe affetto da encefalite letargica,
una grave patologia virale che tra il 1917 e il 1923 si era diffusa come
pandemia mondiale. I risultati sono prodigiosi, Lowe recupera gradualmente
tutte le sue funzioni motorie e cognitive fino a ridiventare una persona
normale. Ma il “miracolo” non durerà a lungo, la continua assunzione del
farmaco produrrà al paziente una serie di tic nervosi sempre crescenti, che poi
si trasformeranno in spasmi simili a quelli delle convulsioni. Di lì a poco Lowe
tornerà a “dormire” nel suo stato catatonico. Dramma umano tratto dalle reali
esperienze del neurologo Oliver Sacks (che qui diventa Malcolm Sayer) che, tra
il 1969 e il 1973, sperimentò gli effetti dell’L-Dopa su oltre 200 malati
affetti da encefalite letargica nel Mount Carmel Hospital di New York. La
storia raccontata nel film, ampiamente romanzata e intrisa di patetico
sentimentalismo, si focalizza su uno di questi pazienti e sul suo temporaneo ritorno
alla vita. Peccato che l’approccio scelto dalla regista americana sia
all’insegna di un greve pietismo ruffiano, utilizzando tutti i facili cliché dei film ospedalieri che parlano
di malattie, di dolore e di alienazione. Il buon successo di pubblico della
pellicola è probabilmente dovuto proprio a questo stile banalmente diretto che
punta sulla semplice commozione. Nel cast vanno segnalate due interpretazioni
antitetiche: quella di Robert De Niro (candidato all’Oscar) nei panni di Leonard
Lowe, che è eccessiva e iper-caricata di smorfie spingendosi fino al limite del
ridicolo, e quella di Robin Williams nel ruolo del dottor Sayer, che è
volutamente sobrio e sotto le righe, risultando impeccabile. Nella sua ellissi
drammaturgica sdolcinata è un film ampiamente sopravvalutato.
Voto:

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