Con la consueta formula, sospesa tra bieco sensazionalismo e cruda morbosità, Jacopetti e Prosperi confezionano uno dei “mondo movie” più famosi, probabilmente il “migliore” di questo genere, controverso e discutibile, ma di grande successo commerciale negli anni ’60 e ’70. Evidentemente orientato verso un pubblico di nicchia dallo stomaco forte in cerca di "più e più sangue", è un feroce ritratto della nuova Africa, carico di scene atroci (con gli immancabili falsi furbescamente spacciati per veri) ed intriso di una riprovevole nostalgia del colonialismo, fedeli alla formula reazionaria “si stava meglio quando si stava peggio”. Il voyeurismo giornalistico dell’opera, tipico del genere “mondo”, è evidente come il notevole impegno produttivo profuso e l’amore degli autori per il continente nero. Peccato però che si tratti di un’Africa "da cartolina", un mondo atavico e ideale, mitizzato dall’elaborazione nostalgica dei registi. Vale unicamente per il suo significato storico di più degno rappresentante di un genere abietto e generalmente ripugnante, che ha però costituito, pur nella sua palese esecrabilità, un curioso fenomeno di massa assai di moda presso diversi strati (anche insospettabili) della popolazione. Oggi i film "mondo" non ci sono più, nè sarebbe più possibile girarli, ma la matrice morbosa e voyeuristica che allora ne determinò il successo è ancora ben viva e vegeta in larghe schiere di spettatori ipocriti, affamati di turpe sensazionalismo e di spettacolarizzazione del dolore. I tempi cambiano, purtroppo o per fortuna, ma il vecchio motto "più e più sangue" non è mai tramontato. Ha solo cambiato forma.
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