Molti anni dopo la fine della guerra tra i ribelli di Zion e le macchine, un redivivo Thomas Anderson è stato reinserito nella realtà virtuale di una nuova versione di Matrix. Egli non ricorda più di essere Neo, l'eletto che ha guidato la rivolta degli umani sfuggiti al dominio delle macchine, ed è un brillante programmatore software che vive a San Francisco ed ha progettato una trilogia di videogiochi di enorme successo popolare chiamata "Matrix", basata sulla storia che abbiamo visto nei primi tre film. Mentre la sua mente vacilla confusa tra vaghi ricordi del suo passato, gli elementi del gioco da lui creato, gli incontri fugaci con una donna di nome Tiffany che è identica a Trinity e la metodica quotidianità sempre uguale che "vive" inconsapevolmente all'interno di Matrix, il nostro sente che qualcosa non quadra nella sua vita e cerca di trovare una soluzione in sedute psicoanalitiche con un austero Analista. Mentre la Warner Bros. gli commissiona un quarto capitolo del videogame "Matrix", Neo esegue una simulazione personalizzata dell'inizio del suo videogioco, in cui riesce a penetrare l'hacker Bugs, che comanda un manipolo di ribelli che sono riusciti ad evadere dal sistema. Sarà proprio l'intrepida Bugs a dare il via alla catena di eventi che porteranno alla nuova liberazione di Neo, facendogli recuperare la sua identità di "eletto". Quarto capitolo della popolare saga fantascientifica delle sorelle Wachowski (nate come Larry e Andy prima di diventare Lana e Lilly), diretto dalla sola Lana dopo il momentaneo forfait di Lilly e giunto a 18 anni di distanza da Matrix Revolutions. Con il ritorno di attori storici del franchise come Keanu Reeves, Carrie-Anne Moss, Jada Pinkett Smith e Lambert Wilson, che riprendono i rispettivi ruoli, e l'inserimento di nuovi interpreti come Jonathan Groff, Jessica Henwick, Yahya Abdul-Mateen II e Neil Patrick Harris, questo Matrix n. 4 è un sequel postmoderno autoironico, nostalgico, carico di elementi meta-cinematografici, di citazioni divertite ai capitoli precedenti e di inserti sul filo della satira che prendono in giro la deriva hollywoodiana che continua a sfornare seguiti, remake e reboot di pellicole di successo, senza risparmiare nemmeno sè stesso. E' questa la principale novità, il punto di forza ed il merito maggiore di questo film a lungo atteso dai fans della saga, che per tutta la sua prima parte (strutturata come una sorta di "remake" semiserio del primo capitolo del 1999) risulta di gradevole intrattenimento intelligente. Ma nella seconda tranche tutto peggiora e degrada in un grossolano accumulo di scene madri, sequenze d'azione ripetitive e non particolarmente riuscite, lunghe spiegazioni in bilico tra il cervellotico e il confuso, banalità sentimentali da romanzo d'appendice. Lana Wachowski lascia fuori fuoco le ellissi metaforiche di natura filosofica e religiosa dei capitoli passati e mette al centro della narrazione il sentimento, la storia d'amore tra Neo e Trinity, ribaltando e completando, in una sorta di par condicio femminista, quanto visto nei trascorsi episodi. L'estetica, lo stile, le ambientazioni sono pedissequamente fedeli alla connotazione cyber-punk che è divenuta l'iconografia della serie, con una maggiore spinta propulsiva orientata, sia concettualmente che visivamente, verso la fluidità dei generi ed il look "queer", in accordo all'ideologia transgender dell'autrice. Nel cast spiccano le new entry Jessica Henwick e Yahya Abdul-Mateen II, che affrontano i rispettivi ruoli con la giusta dose di fisicità, sex appeal e autoironia, il più maturo Keanu Reeves fa il suo senza strafare, Neil Patrick Harris e Jonathan Groff non hanno il carisma necessario per il peso dei loro personaggi (ad esempio si sente moltissimo la mancanza di Hugo Weaving) e Carrie-Anne Moss sembra riprendere gli iconici panni di Trinity senza troppa convinzione. In fin dei conti questo quarto capitolo è superiore ai deludenti episodi 2 e 3, ma lascia una generale sensazione di irrisolto per le tante pecche che emergono impietosamente nella seconda parte, a discapito di una prima in cui l'approccio era felicemente agile, saggiamente fresco e deliziosamente ironico.
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