Michèle
è una benestante donna in carriera di mezza età, cinica e disinibita, che
dirige con successo una società di videogiochi. Nella sua intensa quotidianità
deve gestire un ex marito che pende ancora dalle sue labbra, un figlio immaturo
che aspetta un bambino da una ragazza tutto pepe, una bollente relazione con il
marito della sua migliore amica, un’indomita madre ultrasettantenne che si
trastulla con il suo giovane amante ed un padre “mostro” condannato
all’ergastolo per aver commesso una cruenta strage tra i vicini di casa negli
anni ’70. Un giorno Michèle viene aggredita e stuprata nella sua abitazione da
un misterioso uomo mascherato, ma decide di non denunciare il fatto e proseguire
la sua vita come se nulla fosse accaduto. Ma quando l’assalitore si rifà vivo,
la donna inizia con lui un torbido gioco sessuale dalle pericolose conseguenze.
Cinico thriller drammatico “da camera”, con contaminazioni da commedia nera,
girato “alla francese” da Verhoeven, che ha liberamente adattato il romanzo “Oh...”
di Philippe Djian. Provocatorio nelle tematiche, violento nei contenuti e
amorale nei toni, è un piccolo compendio di tutto il cinema del regista
olandese, da sempre a suo agio con le vicende morbose che mescolano sangue e
sesso. Ora divertente ora agghiacciante, ambiguo e impudente fino al midollo, è
un apologo anarchico (trasversale ai generi) sulle perversioni sessuali e sul
sadismo latente di una borghesia ipocrita, viziata e rapace. Peccato che, per
via della mano pesante del regista, non possieda la lucidità critica, il rigore
espressivo e la compattezza tematica di un’opera capitale (e per molti versi affine)
come La
pianista di Michael Haneke che, tra le altre cose, condivide la stessa
magnifica protagonista, la bravissima Isabelle Huppert. Tutti i punti di forza
della pellicola si devono a lei e alla sua straordinaria capacità di reggere, con ambigua misura, il peso di un
ruolo così scomodo e “scandaloso”. La Huppert, meritatamente candidata all’Oscar come
miglior attrice per quest’interpretazione, attraversa il film con la forza (e
la grazia) di chi è riuscito a raggiungere lo stato interiore di libertà
assoluta, andando oltre le convenzioni morali, il conformismo sociale e i tabù
reconditi. La sua capacità mimetica di sintonizzarsi, quasi naturalmente, con
personaggi estremi e borderline è
ammirevole e continua a stupire, nonostante una carriera come la sua, imponente
e costellata di successi. E va altresì sottolineata la sua fisicità asciutta e
nervosa, in grado di emanare ancora un seducente erotismo all’età di 63 anni. Dal
punto di vista thriller il film non è esattamente monolitico, a cominciare
dall’identità dello stupratore che è intuibile già a metà pellicola, facendo
quindi decadere l’alone di mistero e la tensione narrativa. Al Festival di
Cannes 2016, dove ha suscitato numerosi consensi, è stato battuto, nella corsa
alla Palma d’Oro, da Io, Daniel Blake di Ken Loach.
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