venerdì 17 febbraio 2017

Indivisibili (Indivisibili, 2016) di Edoardo De Angelis

Viola e Dasy sono due gemelle siamesi adolescenti di Castel Volturno, famose in tutto il circondario non solo a causa della loro particolarità fisica, ma anche per la bravura nel canto che esercitano presso feste e matrimoni con delle pittoresche esibizioni. Le due ragazze, profondamente diverse nel carattere, si credono delle piccole dive ma, in realtà, vengono sfruttate come fenomeni da baraccone dalla colorita famiglia che vive alle loro spalle. La madre, depressa prostituta sgallettata, sembra più attenta ai desideri delle due ragazze mentre il padre, mentecatto sedicente “poeta” col vizio del gioco, cerca di lucrare il più possibile dal successo locale delle figliole. Ma tutto cambia quando l’incontro con un medico fa scoprire alle gemelle la possibilità di essere separate grazie a un intervento chirurgico, che gli consentirebbe di vivere una vita normale. Sospesa tra ruvido realismo e grottesco surreale, l’opera numero tre di Edoardo De Angelis è una potenta favola nera sul tema della separazione, intesa, in maniera lacerante, come metafora del doloroso passaggio dallo stato infantile a quello adulto. Con una messa in scena decadente attraversata da lampi di bizzarra visionarietà, l’autore napoletano ci immerge nel degrado di un litorale domizio brulicante di sguaiata umanità, in quel sottobosco di malaffare, superstizione, connivenza, furbizia, ignoranza e credulità in cui la camorra ha posto le solide basi del suo impero del male. La camorra che non si vede mai nel film di De Angelis ma di cui costantemente si avverte l’ombra minacciosa, il fiato pesante, il lezzo mefitico, il subdolo potere. I grigi ambienti fatiscenti immersi in un paesaggio dal sapore post apocalittico, tra scheletri di cemento, costruzioni abusive e cattedrali nel deserto, emanano visivamente le esalazioni di una terra amara, bellissima e malata, deturpata da una violenza morale che ne offende la storia e ne mortifica la vitalità. Ma è nel grande cuore espressivo delle due magnifiche protagoniste (le finora sconosciute Angela e Marianna Fontana) che quest’opera dolente e toccante ha la sua possente forza viscerale, in bilico perenne tra dolcezza e crudeltà. Le due “madonne” neomelodiche attraversano soavi il greve scenario ambientale e quasi lo dominano con la loro naturale grazia, attuando un fertile contrasto tra bellezza e decadenza, esuberanza e morte. Non esente da stereotipi e da cadute nel trash, il film ha i suoi punti migliori nei momenti intimi, in cui la forzata vicinanza delle due sorelle diventa desiderio, stupore, delusione, rabbia, entusiasmo, speranza. Ma anche la surreale sequenza notturna sul lussuoso panfilo adibito ad alcova lussuriosa è un momento di volo alto, che conferma l’estro di un regista che ha sempre cercato uno sguardo diversamente amaro sulla sua terra natia. I simbolismi barocchi (a volte al limite del caricaturale) che contornano molte scene e che solleticano quell’immaginario kitsch che da sempre accompagna il meridione campano nel resto d’Italia, non inficiano il valore dell’opera, a cui la spontaneità degli interpreti, il tocco magico dell’autore e la calda espressività creativa consentono di volare ben al di sopra della meschinità ambientale. Tra Fellini e Scola, Sorrentino e Cronenberg, il musical folcloristico e il teatro Kabuki, De Angelis riesce a ritrarre un universo originale e palpitante, in cui l’evidente surrealismo è la lente sotto cui amplificare la miseria del quotidiano. Belle e funzionali le musiche di Enzo Avitabile, tra sonorità stranianti e gemiti melodici.

Voto:
voto: 4/5

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