Viola
e Dasy sono due gemelle siamesi adolescenti di Castel Volturno, famose in tutto
il circondario non solo a causa della loro particolarità fisica, ma anche per
la bravura nel canto che esercitano presso feste e matrimoni con delle
pittoresche esibizioni. Le due ragazze, profondamente diverse nel carattere, si
credono delle piccole dive ma, in realtà, vengono sfruttate come fenomeni da
baraccone dalla colorita famiglia che vive alle loro spalle. La madre, depressa
prostituta sgallettata, sembra più attenta ai desideri delle due ragazze mentre
il padre, mentecatto sedicente “poeta” col vizio del gioco, cerca di lucrare il
più possibile dal successo locale delle figliole. Ma tutto cambia quando
l’incontro con un medico fa scoprire alle gemelle la possibilità di essere
separate grazie a un intervento chirurgico, che gli consentirebbe di vivere una
vita normale. Sospesa tra ruvido realismo e grottesco surreale, l’opera numero
tre di Edoardo De Angelis è una potenta favola nera sul tema della separazione,
intesa, in maniera lacerante, come metafora del doloroso passaggio dallo stato
infantile a quello adulto. Con una messa in scena decadente attraversata da
lampi di bizzarra visionarietà, l’autore napoletano ci immerge nel degrado di
un litorale domizio brulicante di sguaiata umanità, in quel sottobosco di
malaffare, superstizione, connivenza, furbizia, ignoranza e credulità in cui la
camorra ha posto le solide basi del suo impero del male. La camorra che non si
vede mai nel film di De Angelis ma di cui costantemente si avverte l’ombra
minacciosa, il fiato pesante, il lezzo mefitico, il subdolo potere. I grigi
ambienti fatiscenti immersi in un paesaggio dal sapore post apocalittico, tra
scheletri di cemento, costruzioni abusive e cattedrali nel deserto, emanano
visivamente le esalazioni di una terra amara, bellissima e malata, deturpata da
una violenza morale che ne offende la storia e ne mortifica la vitalità. Ma è
nel grande cuore espressivo delle due magnifiche protagoniste (le finora
sconosciute Angela e Marianna Fontana) che quest’opera dolente e toccante ha la
sua possente forza viscerale, in bilico perenne tra dolcezza e crudeltà. Le due
“madonne” neomelodiche attraversano soavi il greve scenario ambientale e quasi
lo dominano con la loro naturale grazia, attuando un fertile contrasto tra
bellezza e decadenza, esuberanza e morte. Non esente da stereotipi e da cadute
nel trash, il film ha i suoi punti migliori nei momenti intimi, in cui la
forzata vicinanza delle due sorelle diventa desiderio, stupore, delusione,
rabbia, entusiasmo, speranza. Ma anche la surreale sequenza notturna sul lussuoso
panfilo adibito ad alcova lussuriosa è un momento di volo alto, che conferma
l’estro di un regista che ha sempre cercato uno sguardo diversamente amaro
sulla sua terra natia. I simbolismi barocchi (a volte al limite del
caricaturale) che contornano molte scene e che solleticano quell’immaginario kitsch
che da sempre accompagna il meridione campano nel resto d’Italia, non inficiano
il valore dell’opera, a cui la spontaneità degli interpreti, il tocco magico
dell’autore e la calda espressività creativa consentono di volare ben al di
sopra della meschinità ambientale. Tra Fellini e Scola, Sorrentino e Cronenberg,
il musical folcloristico e il teatro Kabuki, De Angelis riesce a ritrarre un
universo originale e palpitante, in cui l’evidente surrealismo è la lente
sotto cui amplificare la miseria del quotidiano. Belle e funzionali le musiche
di Enzo Avitabile, tra sonorità stranianti e gemiti melodici.
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