lunedì 27 febbraio 2017

Jackie (Jackie, 2016) di Pablo Larraín

Il 22 novembre 1963 il presidente americano John F. Kennedy viene assassinato a Dallas mentre sfila su un’auto decappottabile durante il corteo presidenziale. Al suo fianco c’è la giovane moglie Jacqueline, detta Jackie, che mantiene sulle ginocchia la testa insanguinata del marito, martoriato da numerosi colpi di fucile, durante l’ultima drammatica corsa verso l’ospedale. Il film racconta le concitate e dolorose vicende nei giorni successivi all’attentato dal punto di vista della celebre First Lady: dalla preparazione dei funerali di stato alla necessità di consolare i piccoli figli, dalla conciliazione tra immagine pubblica e vita privata fino alla vigilia della sua definitiva uscita dalla scena politica. Biografia anomala e dissonante del cileno Pablo Larraín, che realizza un suggestivo ritratto in chiaroscuro di un’icona americana del secolo scorso, tra mistero e potere, glamour e storia, fragilità e seduzione, mito e cronaca. La Jackie di Larraín, interpretata con dolente intensità da Natalie Portman, incarna perfettamente i contrasti e le contraddizioni di un periodo storico che, attraverso lo scioccante omicidio di JFK, segnò il tramonto definitivo di quell’epoca ingenua di contagioso ottimismo che aveva a lungo cullato la mitologia del Sogno Americano e l’immagine del “Nuovo Mondo” come grande patria della democrazia e nume tutelare della pace mondiale. L’intento del regista è la demolizione (artistica) degli stilemi di un genere fortemente codificato come il biopic, attraverso una serie di sottili sfasature stranianti che intrecciano il mondo interiore della protagonista con la realtà oggettiva, dando vita a una lunga spirale di suggestioni deformate che ci offrono la prospettiva di Jackie attraverso il suo sguardo tormentato. Tramite questo processo l’autore cerca il cuore nascosto della First Lady, offrendocene gli aspetti regali, fragili, eleganti, risoluti ed ambigui, in un caleidoscopio interiore che rifugge ogni tentazione agiografica e che non cerca mai di stabilire la tranquillizzante connessione empatica con lo spettatore. Molto interessante è la pragmatica consapevolezza del personaggio di Jackie nel porre massima attenzione all’immagine, già consapevole di quanto questa sia fondamentale nella costruzione di un mito come quello del marito ucciso, un presidente sacrificato sull’altare dell’American Dream e consacrato all’iconografia popolare ben oltre gli effettivi meriti del suo breve mandato. Meno convincente è, invece, la parte finale dell’opera, in cui Larraín adotta un poco ispirato stile Malick per raffigurare gli stati d’animo della protagonista attraverso il suo errare spettrale tra i grandi saloni della Casa Bianca o nei giardini cimiteriali, quasi proiettata verso un cupio dissolvi che è posto in forzata distonia con la dimensione favolistica dell’epilogo, in cui si ricordano i bei momenti della presidenza Kennedy con l’accostamento al mito di Camelot. Un espediente narrativo ad effetto che però appare un po’ stiracchiato nella sua ellissi concettuale e meno agile rispetto allo stile introspettivo della parte iniziale. Oltre alla Portman, candidata all’Oscar come miglior attrice protagonista per la sua interpretazione, completano il cast Peter Sarsgaard, Greta Gerwig, Billy Crudup ed il grande John Hurt, scomparso poco dopo l’uscita in sala del film.

Voto:
voto: 3,5/5

Nessun commento:

Posta un commento