Pittsburgh,
anni ’50: Troy Maxson è un netturbino di colore, bellicoso chiacchierone che si
batte quotidianamente contro le discriminazioni razziali. Sposato con la devota
Rose, ha anche un’amante, un amico inseparabile e due figli contro cui combatte
ostinatamente perché non ne condivide le aspirazioni di carriera (uno musicista
jazz e l’altro giocatore di baseball). Uomo sfrontato e rancoroso, Troy dovrà
presto fare i conti con i suoi errori e con le asperità del suo carattere,
mettendosi contro tutti i suoi cari. Intenso dramma familiare diretto e
interpretato dal divo Denzel Washington, che ha adattato scrupolosamente l’omonima
opera teatrale di August Wilson del 1983, premiata con il premio Pulitzer per
la drammaturgia. Curiosamente Wilson viene accreditato anche alla sceneggiatura
della pellicola, nonostante sia deceduto nel 2005. L’origine teatrale viene
minuziosamente rispettata in un film lungo, verboso e ambientato quasi interamente
in uno spazio scenico ristretto: il cortile di casa Maxson dove Troy si adopera
in predicozzi e invettive, mentre è intento a tirar su quel recinto, voluto
dalla moglie, simbolo materiale delle “barriere” del titolo. Barriere fisiche,
barriere sociali, barriere familiari e, soprattutto, barriere esistenziali,
perché non è mai chiaro se la recinzione serve a proteggere chi resta dentro o
ad escludere chi resta fuori. Su questo sottile gioco ambivalente si costruisce
l’intero film, concepito come una lunga sequenza di scene madri, alcune ben
riuscite ed altre ampollose. E’ essenzialmente un film di attori: bravo Denzel
Washington nei panni dell’esuberante protagonista, bravissima Viola Davis,
premiata con l’Oscar alla miglior attrice non protagonista per la sua
appassionata interpretazione di Rose Lee Maxson, ago della bilancia di una
famiglia allo sbando. La forte connotazione tetrale dell’opera, unita a una
messa in scena ripetitiva che ne asseconda la dimensione domestica, ne costituisce,
al tempo stesso, il punto di forza e di debolezza. Lodevole l’introspezione
psicologica dei personaggi principali, segno di una maggiore maturità registica
di Denzel Washington rispetto alle sue due opere precedenti. Nel 2010 Washington
e la Davis avevano già interpretato con successo i medesimi ruoli nella versione teatrale
di “Fences” a Broadway.
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