Massimo è un giovane attore che da sei anni ha scelto di non parlare più, ma di utilizzare il linguaggio solo sul palco attraverso l'arte. Il suo mutismo è una forma di protesta nei confronti del mondo che lui avverte come ostile, alieno, disordinato, falso e pericoloso. La sua particolare scelta è motivo di scontro nella sua famiglia, il padre, valente archeologo, non lo comprende, mentre la madre, sensibile poetessa, ha nei suoi riguardi una tenera affinità, pur ritenendo la sua posizione troppo estrema. Un famoso regista, attratto dal talento e dalla peculiarità di Massimo, gli propone un dramma teatrale autobiografico in cui dovrà interpretare liberamente sè stesso e si avvale del supporto di sua madre per scriverlo in maniera quanto più possibile attinente. Con questa stratagemma Massimo riprende a parlare, ma solo sul palco, recitando la sua stessa vita. Potente dramma introspettivo di Marco Bellocchio, abilmente scritto dallo psicanalista Massimo Fagioli, e interpretato da Bibi Andersson, Thierry Blanc, Roberto Herlitzka, Henry Arnold e Simona Cavallari. E', probabilmente, l'opera più complessa, ermetica e teorica dell'autore: un trattato intimistico psico-esistenziale sul rapporto tra arte e vita, ovvero tra realtà e finzione scenica, raccontato per immagini attraverso un lirismo assoluto ed uno stile reticente, ma di grande fascinazione poetica, che lo rende un prodotto ostico per il grande pubblico e inevitabilmente di nicchia. Alla sua uscita spiazzò tutti, anche i fans del regista che non vi riconobbero il suo stile inconfondibile, soffermandosi però alla superficie e senza andare in profondità. Basti solo pensare al fatto che il personaggio di Massimo è un tipico ribelle alla Bellocchio, qui addirittura elevato ad altezze paradossali. E' un film sulla suggestione dell'Arte intesa come linguaggio a sè stante, una forma di comunicazione assoluta che va al di là dei limiti geografici, etnici, culturali, politici e religiosi, ma che s'impone come codice supremo, classico, mitico, perchè attinente allo spirito dell'uomo, all'essenza più che alla forma. Per questo motivo il film è ricco di riferimenti alla Grecia, culla e patria della cultura antica, sia attraverso i simbolismi (il teatro greco), sia per mezzo di elementi della trama (il viaggio a Creta e l'archeologia), e anche attraverso la crew (il direttore della fotografia è Yorgos Arvanitis, storico collaboratore Theo Angelopoulos). La bellezza dei paesaggi greci nella parte finale della pellicola è abbacinante e li mette in relazione allo stato d'animo dei personaggi, con un processo di interiorizzazione tipico della poetica del Romanticismo. Un altro dei temi del film è quello del carpe diem, che qui diventa la capacità di cogliere l'attimo e renderlo "eterno" attraverso il gesto artistico. E' questa la chiave di lettura del titolo e il mutismo del protagonista va inteso esattamente in questo modo: la decisione estremistica (ed eroica) di vivere per sempre il presente attraverso la finzione scenica, come quella farfalla meravigliosa che vive per un solo giorno e in esso irradia tutta la sua magica bellezza.
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