Don Carlo, prete missionario, ritorna a Roma nella sua famiglia dopo 10 anni trascorsi in Africa, carico di amarezze e turbato da crisi di fede. Ma trova una situazione ancor più disastrata, con un fratello dipendente dalla cocaina, una sorella in rotta di collisione con i suoi due figli egoisti ed un padre anziano e vedovo che ha perso la testa per la sua badante moldava, Olga, l'ha sposata e le concede ogni capriccio. E tutto si complica ulteriormente con l'improvvisa entrata in scena della bella Lara, vivace figlia di Olga, che irrompe a gamba tesa sulla scena familiare tenendo tutti in scacco, con la pretesa di essere aiutata a riottenere l'affido del suo figlioletto che le è stato sottratto dai servizi sociali. Commedia corale amarognola di Carlo Verdone, che alterna momenti umoristici a riflessioni garbate su tematiche di carattere familiare, etico ed esistenziale e, per farlo, utilizza il personaggio di Don Carlo, un prete in crisi spirituale, interpretato con il solito bonario mestiere dal comico romano. Quello che manca è un autentico ragionamento sulle questioni religiose, come sarebbe stato auspicabile, nonostante queste siano evidentemente richiamate dalle situazioni conflittuali della trama. Con il consueto tocco morbido, e facendo bene attenzione a non inimicarsi nessuno per salvaguardare le imperanti esigenze produttive di botteghino, Verdone evita del tutto le questioni spinose e realizza un film laico rispettoso dei fondamenti cattolici, accennando unicamente all'argomento della distanza comunicativa che si è creata (ed è in costante aumento) tra la Chiesa e il popolo dei fedeli (specialmente i più giovani). Questo è visibile nel suo Don Carlo che parla pazientemente con tutti, cercando anche un auto-conforto ai suoi problemi, ma nessuno sembra realmente ascoltarlo, limitandosi a trasferire su di lui i propri tormenti interiori. Nel cinema di Verdone, la spigliata ed esilarante ironia buffonesca dei suoi esordi ha lasciato gradualmente il posto ad un tenero disincanto, invero più malinconico che critico nella sua lucida presa di coscienza. Nel cast funzionano meglio le interpreti femminili: Angela Finocchiaro, Anna Bonaiuto e Laura Chiatti, la cui indiscutibile bellezza fisica sembra finalmente essere al servizio di un personaggio più sincero e sfaccettato dei suoi standard abituali. Nel complesso non è un film brutto ma anemico, che aggiunge ben poco a quanto già detto in passato dall'autore. La pellicola è dedicata al padre dell'autore, Mario, accademico e critico cinematografico molto stimato nell'ambiente, deceduto durante le riprese.
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