Road movie lento e malinconico, come il suo straordinario protagonista,
che procede sul filo ambivalente di chiaro e scuro, commedia e dramma,
gentilezza e cinismo. Il verista Alexander Payne, da sempre interessato
alle relazioni umane, realizza il suo film migliore, con stile rigoroso
ed asciuttezza dei toni, pur senza rinunciare a meravigliosi lampi di
sincera umanità che si esplicano ora nei momenti "comici" ora in quelli
accorati. Il viaggio attraverso la provincia americana, immensa e
desolata, diviene, come al solito, metafora di un sincero percorso
interiore per inseguire un sogno e rinsaldare il rapporto tra un padre,
vecchio e svagato, ed un figlio, premuroso e gentile. Il tuffo nei
ricordi sarà doloroso nel mettere a nudo rimpianti, fallimenti e la
squallida realtà di una famiglia di miserabili opportunisti, ma la luce
del film è tutta nella magia di quel rapporto, padre-figlio,
compassionevole ed autentico, che si rafforza a mano a mano che il sogno
del vecchio svanisce. Bravissimi gli attori (Bruce Dern, June Squibb,
Will Forte) nel tratteggiare personaggi fragili, smarriti, sinceri, ora
detestabili ora toccanti, ma sempre efficacemente misurati e in armonia
col tono del film. Senza mai eccedere o deviare nel sentimentalismo,
Payne ci abbaglia col bianco e nero di questa "favola" gentile che
percorre sentieri romiti e trova il suo pieno compimento nella sequenza
finale, sul furgone, in cui il giovane figlio "si abbassa", guardando il
vecchio padre da un punto di vista dimenticato, dal basso, con lo
sguardo incantato del bambino che vede nel genitore un gigante, un eroe,
un modello, grazie a cui interrogarsi sul proprio cammino. Bello,
garbato, toccante, da vedere.
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