Dopo l'intenso Hunger e lo scandaloso Shame, McQueen
firma il suo progetto più ambizioso, cimentandosi con un doloroso
dramma storico, tratto da una storia vera ed inerente ad uno dei due
grandi "peccati originali" della storia americana: lo schiavismo
(l'altro è lo sterminio dei nativi). Il risultato è un affresco
personale crudele, agghiacciante, quasi insostenibile nelle scene più
violente, ma mai compiaciuto, mai gratuitamente enfatizzato anzi a volte
"mitigato" dallo stile ricercato del regista che, ancora una volta, si
dimostra bravissimo nella composizione delle immagini e nella ricerca
dell'inquadratura che tracci un punto di vista personale e diverso. Un
po' ingabbiato dagli schemi hollywoodiani che un progetto di tale
portata comporta, McQueen fa il suo film più classico ma non raggiunge mai il vigore espressivo e l'indignazione rabbiosa di Hunger,
che resta la sua opera migliore. Ancora una volta è il corpo umano,
vilipeso, maltrattato, il territorio primario dell'esplorazione del
regista inglese e, ancora una volta, non ci vengono risparmiate scene di
incredibile violenza attraverso la sua tecnica preferita: il piano
sequenza insistito. Quello che però manca è la capacità di elevarsi
oltre l'accumulo di orrori per sublimare i tragici eventi verso un punto
di vista più alto e distaccato, necessario per trasformare una
drammatica requisitoria in lucida critica storica, che sappia
riflettere sugli errori del passato e sulle cause che li generarono. Nel
cast spiccano un feroce Fassbender (attore feticcio del regista) ed una
sorprendente Lupita Nyong'o, favorita numero uno per l'Oscar di
attrice non protagonista. Un po' posticcio ed ingombrante il cameo di
Pitt nel ruolo di un liberale abolizionista canadese.
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