giovedì 23 marzo 2017

Magdalene (The Magdalene Sisters, 2002) di Peter Mullan

Nell’Irlanda degli anni ’60 tre ragazze ritenute colpevoli di atti licenziosi vengono mandate in un convento gestito dalla Madre superiora Bridget, per poter espiare i rispettivi peccati. Bernadette è un’orfana un po’ civettuola che attira le attenzioni dei maschi, Rose è una ragazza madre e Margaret è stata violentata dal cugino durante un matrimonio. Nel monastero, che ben presto si rivelerà una dura prigione, le tre giovani donne subiscono umiliazioni, maltrattamenti, vessazioni fisiche e psicologiche e vengono sfruttate come lavandaie non retribuite. Tenteranno più volte la fuga, ma non tutte saranno in grado di superare la terribile esperienza e rifarsi una vita. Cupo dramma storico, di chiara matrice dickensiana, che intende denunciare, con aspro realismo e veemente fermezza, la vergogna delle così dette “case Magdalene”, istituti femminili realmente esistiti in Irlanda, quasi sempre guidati da religiose, che accoglievano donne giudicate “immorali” dalla società perbenista del tempo. Lo scopo degli istituti (il cui nome deriva dalla devozione a Maria Maddalena) era quello di redimere le “peccatrici” e favorirne il reinserimento sociale, ma, in realtà, dietro questa facciata di bigotto fanatismo si nascondevano sordide storie di soprusi, sopraffazione e violenza a danno delle malcapitate. Il tema centrale dell’opera, sviluppato con feroce accanimento visivo, è la descrizione di un microcosmo totalitario in cui, favorito dalle condizioni di isolamento e dalla certezza dell’impunità, il potere può dare libero sfogo alla propria barbarie in nome della fede. Interessante, in tal senso, la distorsione del concetto di carità cristiana in affilato stumento di tortura, utilizzato con lucido sadismo per annientare la dignità umana ed affermare l’empio dominio dei forti a danno dei deboli. Ma il regista non risparmia i suoi strali alla connivente società puritana dell’epoca, la cui pavida ipocrisia moralistica costituiva l’humus ideale per il clima tirannico delle “case Magdalene”.  In tal senso il film, che alla sua uscita fece infuriare non poco gli ambienti cattolici, è ben più di un acido libello anticlericale e può essere letto come dolente atto d’accusa verso un sistema sociale ben più ampio, che getta parecchie ombre sulla civiltà occidentale degli anni '60. L’evidente impianto a tesi dell’opera ne costituisce anche il punto debole, specialmente quando l’autore, trasportato dal suo intento polemico, finisce per esagerare in compiacimenti morbosi, esagerando nell’esplicitazione dei rituali violenti del convento-prigione. Non di meno il film resta un’opera potente, scioccante e necessaria, premiata (non senza polemiche) con il Leone d’Oro al Festival del Cinema di Venezia del 2002. Memorabile la sequenza in cui la sofferente Margaret recita il Padre nostro inginocchiata al cospetto della sua aguzzina.

Voto:
voto: 4/5

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