Kyoko e Noriko. La prima è bella, sfacciata, arrogante, sicura di sè, artista visuale che mette sempre il sesso al centro delle sue performance. La seconda è la sua segretaria tuttofare, timida, mite, succube, totalmente in balia dell'altra, che la umilia in uno strano rapporto sadomasochistico di natura sessuale. Stop! Non c'è nulla di vero: siamo sul set di un film in cui le due donne sono attrici che interpretano un ruolo, totalmente diverso dalla loro personalità. Nella realtà le cose stanno esattamente all'opposto: Noriko è la "padrona" e Kyoko la "schiava". O forse no? Magistrale capolavoro di Sion Sono, uno psicodramma erotico che gioca abilmente con lo spettatore utilizzando le armi della seduzione: ti affascina, ti provoca, ti illude, ti tradisce, ti sconcerta, ti abbandona, poi ti riprende, ma fino a quando? Un caleidoscopio di immagini fulgide, un tripudio cromatico, un dipinto di Pollock in movimento, un labirinto di specchi in cui nulla è reale e tutto è reale, una piacevole masturbazione per la (nostra) mente che si perde nel gioco (e poi nel doppio gioco) delle identità e dei ruoli. E' corretto parlare, per questo film, di feticismo visivo: esplosivo, sensuale, a volte morboso, ma anche sottile, inquietante, come Persona di Bergman "spalmato" su una tavolozza di colori. Carico di meraviglie e di tormenti, è una metaforica sciarada costruita sugli opposti, e sulla loro posizione fluida, un geniale divertissement d'autore (e dell'autore) che ci (e si) prende in giro con il cimento delle negazioni. E' la risposta, irriverente e provocatoria, di Sion Sono ai tanti detrattori che hanno sempre rivolto al suo cinema l'accusa di misoginia. Ed è quasi incredibile pensare che tutto questo sia nato come un lavoro su commissione: la richiesta della casa di produzione Nikkatsu di fare un film celebrativo del così detto genere "Roman Porno", di grande succeso nel Giappone degli anni '70, ovvero pellicole erotico-sentimentali a basso costo di tipo softcore. E' cosa nota che il genio non si ingabbia e il grande regista giapponese ha saputo trasformare un progetto "ad incarico" in qualcosa di opposto (anzi di "anti-"), in un grande risultato artistico, concettuale, allegorico e profondamente personale. Un supremo sberleffo, un omaggio "pittorico" sul femminile ed una tagliente riflessione sulla sua condizione in una società ancora dominata dal "maschile".
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