New York, 1933. Un ambizioso regista senza scrupoli (Carl Denham), una giovane attrice in cerca di successo (Ann Darrow) e uno scrittore che lavora per il cinema (Jack Driscoll), partono verso un'isola misteriosa e leggendaria per girare un grande film d'avventura esotico. Qui troveranno una giungla ostile popolata da mostri feroci, dove il tempo sembra essersi fermato, e in cui il re indiscusso è un gigantesco gorilla che sarà chiamato Kong, l'ottava meraviglia del mondo. La tribù selvaggia che vive sull'isola rapisce la bionda Ann per offrirla in sacrificio al bestione, ma non hanno fatto i conti con il potere della bellezza. Spettacolare remake targato Peter Jackson del grande classico del cinema fantastico del 1933, diretto da Cooper e Schoedsack. Il regista neozelandese non ha mai nascosto il suo grande amore per la pellicola originale, che (parole sue) ha fatto nascere la sua passione per il cinema e per il lavoro di regista. Quindi questo progetto, magniloquente, costoso e ambizioso, era praticamente inevitabile. Il King Kong di Jackson è un kolossal smisurato, visivamente imponente, curato nei minimi dettagli, un omaggio appassionato al film del '33, aggiornato all'estetica moderna e forte della nuova frontiera degli effetti speciali in CGI, rendendo quindi possibile ciò che una volta era impensabile. Ma è anche un film esagerato, interminabile, bulimico, spesso fracassone, tronfio di tutta la megalomania tipica del regista, il cui limite atavico è la tendenza all'eccesso, l'esasperazione spettacolare con inevitabile perdita del senso della misura. E', dunque, un'opera fortemente discontinua e squilibrata, che procede tra luci e ombre, presenti in egual misura, e inspiegabilmente lunga, fino allo sfinimento. Tra gli aspetti lodevoli ricordiamo: la sontuosa ricostruzione della New York anni '30 (interamente "ricreata" negli studi di Wellington dai "maghi" della Weta Workshop), la bella interpretazione di una Naomi Watts iper-luminosa, l'iconica sequenza finale sull'Empire State Building (uno spettacolo per gli occhi) e, ovviamente, l'incredibile gorilla protagonista, realizzato in computer grafica con risultati stupefacenti. Abbiamo invece un chiaro pollice verso per: la parte centrale a Skull Island (un lungo e noioso circo di mostri e creature, talmente smodato da far pensare a un videogioco e indurre sbadigli), il clamoroso miscasting di Jack Black (inadeguato e fuori parte), la superflua propaggine narrativa di sottotrame e personaggi del tutto inutili alla storia e ("last but not least") la perdita completa della velata carica erotica dell'originale nel rapporto (impossibilmente morboso) tra la bella e la bestia. Un simbolismo di natura sessuale che era invece presente nel fortunato remake del 1976 di John Guillermin, prodotto da Dino De Laurentiis e con Jessica Lange nel ruolo della "fatale" bionda. Un remake che, pur con tutti i suoi limiti, risulta complessivamente più logico e calibrato di questa nuova versione di Peter Jackson. Diciamo pure che, eliminando Jack Black e sforbiciando almeno 70 minuti di pellicola, sarebbe stato un film ottimo. Tre premi Oscar (effetti speciali, sonoro e montaggio sonoro) e un risultato al box office buono ma inferiore alle attese. Specialmente in relazione agli enormi costi di produzione.
Voto:
Nessun commento:
Posta un commento