La leggenda della genesi di Roma, l'alba del più grande impero che la storia dell'uomo ricordi. In sintesi questa è l'idea alla base di questo film ambizioso e spettacolare, da applaudire e salutare con entusiasmo già solo per il coraggio, produttivo e registico. Nel 753 a.C. i due fratelli Romolo e Remo sono semplici pastori. Travolti da un'inondazione del Tevere di proporzioni bibliche perdono tutto (tranne la vita) e finiscono prigionieri dei feroci abitanti di Alba Longa, fedeli alla sacerdotessa Satnei, custode del fuoco sacro degli dei. Costretti a combattere per sopravvivere i due riescono ad organizzare una rivolta e fuggire alla guida di altri schiavi, prendendo in ostaggio la misteriosa Satnei. Il valoroso Remo assume ben presto il comando del gruppo, riesce a conquistare una circoscrizione rurale e si nomina re. Ma la vestale gli rivela un'atroce profezia: uno dei due fratelli diventerà primo re e fondatore del più grande impero del mondo, ma, per farlo, deve uccidere l'altro. Remo si ribella al volere degli dei e lascia andare Romolo per la sua strada, finendo in preda ad una sorta di delirio di onnipotenza. Ma cambiare il destino è impresa ardua. Il progetto di riesumare (e rivitalizzare con nuova linfa, grazie all'estetica contemporanea) un genere a noi familiare come il peplum (di enorme successo negli anni '50 e '60, ma morto e sepolto da tempo immemore) con un film italiano, sembrava a dir poco ardimentoso, ma l'azione è perfettamente riuscita. Il primo re di Matteo Rovere è una piacevolissima "anomalia" nel panorama attuale del cinema nostrano, che ha definitivamente abbandonato i generi per appiattirsi su commedie ridanciane e prodotti dozzinali dal guadagno sicuro, ovviamente eccezion fatta per i pochi veri autori (Garrone, Moretti, Sorrentino, Bellocchio, M.T. Giordana e pochi altri). Il risultato di questo piccolo "miracolo" all'italiana è un film imponente, visivamente ammaliante, curato in ogni dettaglio, un racconto epico, cruento e ancestrale che ci immerge in un mondo oscuro, barbaro e feroce, pervaso da violenza e superstizioni, un mondo pagano e spietato, illuminato però dal fuoco della leggenda. La leggenda di Roma, caput mundi. Splendidi gli scenari, le ricostruzioni ambientali, i costumi, la lingua utilizzata (una sorta di protolatino arcaico messo a punto, per l'occasione, da una squadra di esperti linguisti), l'uso sapiente dell'illuminazione tramite luce naturale (l'unica fonte rigorosamente utilizzata). Tutto per ottenere il massimo realismo, allontanandosi il più possibile dalle pacchiane "americanate" relative alla storia antica. Bravissimi gli attori, con menzione speciale per il Remo di Alessandro Borghi e l'inquietante Satnei di Tania Garribba. E, ovviamente, impossibile non citare i perfetti effetti speciali, calibrati e non invasivi, cosa tutt'altro che scontata nel cinema italiano. La sequenza iniziale del Tevere che straripa con onda da tsunami meriterebbe, già da sola, la visione del film. E' anche un film complesso e importante, poco ammiccante verso il grande pubblico, che affronta con lucidità temi importanti quali il libero arbitrio, la religione (nel senso più ampio di trascendenza), l'amore fraterno e, ovviamente, l'ego. Da non perdere.
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