Quattro giovanissime studentesse di un college della provincia americana (Brit, Candy, Cotty e Faith) sono disposte a tutto per potersi permettere lo "Spring Break" annuale (la settimana di vacanza che molti giovani americani abbienti si concedono ad inizio primavera, solitamente in località turistiche di mare, all'insegna dello sballo e delle trasgressioni). Le spudorate ragazze rapinano un fast food con delle pistole finte e, con il ricavato del colpo, partono per le spiagge della Florida, per ammassarsi con tanti altri coetanei in uno "Spring Break" tutto droghe, alcool, sesso ed eccesso sfrenato. Coinvolte in una retata della polizia finiscono in prigione, ma non sanno che il misterioso Alien, un rapper bullo dai denti coperti di metallo, ha messo gli occhi su di loro. Allucinata e sensuale commedia drammatica scritta e diretta da Harmony Korine, il nuovo ribelle del cinema indipendente made in USA, specializzato in provocazioni e in affreschi sociali sordidi che ritraggono, senza filtri, il così detto "white trash", ovvero il lato oscuro della società statunitense principalmente bianca, giovane, avvenente e benestante, con pochi scrupoli, molti vizi e ancora più ambizioni. Non c'è dubbio che il microcosmo narrato dall'autore in questo film sia, al tempo stesso, conturbante quanto inquietante, una sorta di piccolo inferno di perdizione rappresentato con un'estetica sgargiante, con immagini patinate e lisergiche, e con uno stile visivo ricercato in bilico tra hip-hop e delirio. La trasgressione è programmatica così come i continui ammiccamenti sessuali: le 4 protagoniste sono tutte bellissime, smaliziate e perennemente in bikini, e questo fa nascere più di un dubbio su quanto l'intento di denuncia dell'autore sia sincero o invece sia solo un pretesto per mettere in scena un'orgia autoreferenziale di vanità e di voluttà. Ma James Franco, unico "gallo" nel "pollaio", è bravissimo a tratteggiare l'ambiguo Alien (che simboleggia la prossimità tra il male e certi comportamenti "a rischio") con fertile ricchezza di sfumature. Ed è proprio la fascinazione del male il senso intimo più profondo del film, un concetto per nulla originale ma sempre importante, che però probabilmente andava declinato con meno ruffianeria, meno narcisismo estetizzante e più asciuttezza drammaturgica. Presentata in concorso al Festival di Venezia 2012, la pellicola ha diviso fortemente la critica, irritando alcuni ed esaltando altri, ma questo coloratissimo frullato di maladolescenza a stelle e strisce non vale nessuno dei due estremismi.
Voto:
Nessun commento:
Posta un commento