All'inizio degli anni '80 l'impero del crimine mafioso in Sicilia è diviso tra le "famiglie" palermitane, fedeli al boss Stefano Bontate, e la fazione dei così detti "corleonesi", guidati dal sanguinario Totò Riina. Tommaso Buscetta, uomo di Bontate legato ai codici della "vecchia mafia", fiutando l'esplosione imminente di una guerra tra i due schiarimenti decide di emigrare in Brasile. La faida scoppierà violenta e sanguinosa, lasciando sul campo decine di morti, tra cui due figli di Buscetta. Arrestato nella sua residenza brasiliana ed estradato in Italia, Buscetta sarà strigliato dal giudice Falcone e diventerà il primo storico pentito di Cosa Nostra. Le sue rivelazioni saranno la base principale del maxi processo di Palermo del 1986, di cui egli sarà testimone chiave e principale accusatore dei suoi "nemici". Costretto a una vita in fuga, in paesi stranieri, sotto costante protezione e con false identità, riuscirà a vivere fino a 72 anni, morendo di morte naturale. E portandosi nella tomba tanti oscuri segreti ancora non svelati, specialmente riguardo alle relazioni tra mafia e politica. Straordinario dramma di denuncia sociale di Marco Bellocchio che, dopo il "caso Moro", torna a rivisitare la cronaca nera italiana, raccontando, con lo sguardo del grande narratore impegnato, uno dei periodi più tragici e controversi della nostra storia recente. Bellocchio riesce a fare, come sempre, grande cinema pur muovendosi dentro i confini stringenti di un genere fortemente tipizzato come il gangster movie, anteponendo su tutto la sua visione di artista ribelle e anticonformista, offrendoci tocchi visionari e stranianti, e regalandoci diverse sequenze memorabili sullo sfondo di una ricostruzione storica precisa e calibrata. Senza enfasi, senza cedimenti alla fascinazione del male e senza esprimere giudizi morali netti, l'autore ci racconta Buscetta, splendidamente interpretato da un mimetico Pierfrancesco Favino, nelle sue nefandezze di criminale e nelle sue fragilità di uomo, senza mai ometterne il carisma, l'intelligenza strategica, gli aspetti ambigui e i lati oscuri. Un ritratto a tutto tondo, realistico e credibile, che, probabilmente, non sarebbe stato possibile senza la scelta dell'attore giusto. Il titolo provocatorio, che ovviamente allude al punto di vista mafioso, si sposa perfettamente con l'essenza di un film bifronte, ambivalente come la proiezione della figura di Tommaso Buscetta nell'immaginario popolare: per alcuni un eroe coraggioso, per altri un viscido opportunista. Una figura emblematica di un'epoca ma anche di un sistema di potere (mafioso, ma non solo) che Bellocchio mette sulla graticola insieme a tutti gli imputati del maxi processo, stabilendo un pungente parallelo tra l'ipocrisia di uno stato assente e la ferocia del crimine organizzato. Tra le pieghe di una rievocazione rigorosa e lucida, l'autore cela il senso intimo del film, modulandolo sulle confessioni e sui silenzi del suo protagonista, rendendolo una figura decadente e tragica, le cui contraddizioni inestricabili aprono luci sul presente ma gettano anche ombre inquietanti sul futuro. Tommaso Buscetta, "boss dei due mondi". Un film bifronte, per l'appunto.
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