Francia, fine del XIX secolo: il capitano dell'esercito Alfred Dreyfus viene condannato per alto tradimento come spia del nemico tedesco, degradato con disonore e costretto all'esilio sull'isola del Diavolo, nella Guyana francese. Tempo dopo l'ufficiale Georges Picquart, promosso capo della sezione del controspionaggio militare, si rende conto che la "talpa" che passa informazioni ai nemici è ancora attiva e inizia a sospettare che Dreyfus potrebbe essere innocente. Intuisce che la sua frettolosa condanna era dovuta a pregiudizi antisemiti, essendo Dreyfus ebreo, e deve combattere tra il suo alto senso della giustizia e le pressioni di un sistema di potere di matrice razzista che potrebbe danneggiare la sua carriera. Dal romanzo di Robert Harris, che ha collaborato anche alla sceneggiatura, Roman Polanski ha tratto un acuminato dramma biografico, storico e politico, tanto elegante nella sua forma classica, quanto pungente nella denuncia contro tutti i sistemi oppressivi del potere, che calpestano la dignità e i diritti dell'uomo in nome di preconcetti ideologici. A prescindere dal loro nome e dalla loro appartenenza (nazismo, maccartismo, inquisizione) questi abusi violenti commessi dall'uomo sull'uomo hanno tutti la medesima radice di odio, discriminazione, prevaricazione e mantenimento dello status quo. Come sancito fin dal titolo secco e lapidario, J'accuse, (quello italiano è banalmente didascalico e perde tutta la forza dell'originale), questo film puntiglioso e scottante è un lucido atto d'accusa, oltre che un inno accorato alla libertà individuale ed all'equanimità del giudizio. Il caso Dreyfus è stato sempre una imbarazzante spina nel fianco della storia francese, uno scheletro nell'armadio da tenere nascosto e, inevitabilmente, una storia perfetta per il cinema di denuncia. Non a caso la vicenda era già stata portata per due volte sul grande schermo: da William Dieterle nel 1937 e da José Ferrer del 1957. E Polanski, ebreo polacco da sempre sostenitore del pensiero liberale, era quasi una sorta di predestinato in tal senso. Purtroppo il film, artisticamente eccelso e ideologicamente impeccabile, è stato in parte oscurato (e ingiustamente sminuito) per gli strascichi polemici causati da una discutibile intervista del grande regista in cui egli ha sovrapposto la sua personale vicenda giudiziaria (riferita all'accusa di stupro da parte di una minorenne americana nel 1977) con quella di Dreyfus, dichiarandosi parimenti innocente e ingiustamente perseguitato. Altre polemiche sono nate poi in Francia, paese che ha accolto Polanski come suo cittadino e che lo ha sistematicamente difeso dalle richieste di estradizione da parte degli USA, dato che questo J'accuse non è di certo indulgente verso il governo transalpino dell'epoca. E mi sento di aggiungere: giustamente e fortunatamente, perchè la libertà di pensiero e di espressione, e la verità storica, vengono prima di qualunque forma di "gratitudine". Al di là di questi fatti, sicuramente degni di nota, resta un film solido e importante, perfettamente in linea con il talento, la poetica e la carriera dell'autore. Bravissimi Jean Dujardin e Louis Garrel nel ruolo dei due protagonisti/antagonisti.
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