Il
giovane Ernesto Guevara (prima di diventare il leggendario “el Che”) è uno studente di 23 anni
iscritto alla facoltà di medicina di Buenos Aires. Inquieto e passionale, il
nostro decide di intraprendere un avventuroso viaggio attraverso l’intero
continente sud americano insieme al suo amico Alberto Granado. I due giovani
ardimentosi faranno la prima parte del lungo viaggio in sella alla motocicletta
di Granado, soprannominata “la
Poderosa”, per poi proseguire a piedi e con mezzi di fortuna.
Alla fine percorreranno circa tredicimila chilometri in otto mesi, passando per
Machu Picchu e il lebbrosario di San Pablo, per poi giungere fino a Caracas.
Durante questo viaggio attraverso le bellezze, la miseria, le ingiustizie e le
contraddizioni dell’America latina, Guevara avrà modo di crescere e di avviare
quel processo di maturazione politica e intellettuale che lo condurrà a
diventare il più celebre rivoluzionario del pianeta, icona popolare e paladino
degli oppressi. Suggestivo dramma biografico ispirato ai diari di viaggio “Latinoamericana (Notas de viaje)”,
scritti dallo stesso Guevara, ed al racconto “Con el Che por America Latina” di Alberto Granado. Il regista Walter
Salles cerca di analizzare le origini del mito attraverso immagini di grande
forza evocativa, con il paesaggio autentico coprotagonista, la fiera durezza
dei volti scavati dalla povertà e dalla fatica dei meticci latino americani e
la bravura dei due attori protagonisti: un pensoso Gael García Bernal nei panni
del “Che” e l’esuberante Rodrigo de la
Serna, autentica sorpresa del film, in quelli di Granado.
Senza dimenticare i canoni tipici del cinema hollywoodiano, l’autore mette in
scena una pellicola più declamatoria che introspettiva, con una prima parte
gioiosa e didascalica e una seconda più intensa e politica, che non nasconde la
sua ambizione di racconto di formazione. L’arrivo a Machu Picchu è un momento
magico ma la vera anima dell’opera risiede nel lungo segmento ambientato nel lebbrosario
amazzonico, in cui Guevara apprende la dolorosa lezione secondo cui solo
toccando con mano l’altrui sofferenza è possibile parlare di comprensione, di
condivisione e di progetto ideologico. Coinvolgente e furbo, appassionato e
meditabondo, questo film gitano e polveroso ha la tensione del romanzo morale e
l’incanto dell’epopea picaresca, e mira ad equiparare la crescita politica con
quella sentimentale, evitando le tentazioni dell’agiografia. Ha vinto il premio
Oscar per la miglior canzone: “Al otro
lado del río” di Jorge Drexler.
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