martedì 3 maggio 2016

Vestito per uccidere (Dressed to Kill, 1980) di Brian De Palma

Kate Miller è una casalinga sessualmente repressa in cura presso lo psicologo Robert Elliott. Dopo aver consumato un rapporto sessuale con uno sconosciuto incontrato al Metropolitan Museum of Art, viene brutalmente uccisa a rasoiate mentre sta lasciando una camera d’albergo. Al delitto assiste per caso la squillo Liz Blake che accusa dell’omicidio una donna bionda vestita con impermeabile nero, ma diventa la prima sospettata dalla polizia. Peter, figlio della vittima, contatta la ragazza e inizia a indagare insieme a lei cercando di scoprire l’assassino della madre. Intanto il dottor Elliott trova in segreteria telefonica un messaggio di un transessuale di nome Bobbi, suo paziente, che si accusa della morte di Kate e rivela che il suo prossimo bersaglio sarà la testimone Liz. Così lo psicologo si unisce alla coppia di improvvisati investigatori per stanare il colpevole. Celebre thriller erotico di Brian De Palma, tra i più belli e riusciti degli anni ’80, che rivisita la lezione hitchcockiana (citando a ripetizione Psycho e Vertigo) alla luce di una furiosa estetica della violenza e della sessualità, in cui carne e sangue, voyeurismo e perversione, sensualità e psicopatia si mescolano in un mix formidabile di citazioni, barocchismi, colpi di scena, patos ansiogeno e momenti di grande cinema. L’autore non si limita all’omaggio pedissequo del suo regista preferito, ma ne rielabora i codici della visione, amplificandoli e rinnovandoli, per ottenere la massima esaltazione della geometria dello sguardo. Il suo sguardo registico mira a comporre dentro lo schermo/cornice tutto ciò che l’immagine può dire, innescando, con estrema raffinatezza, quel triangolo comunicativo che unisce spettatore, immagine e macchina da presa in un processo cognitivo che scambia i ruoli e scompagina i punti di vista, creando così una malia di fosca sospensione che punta all’essenza del patos visivo. L’audace esplicitazione degli aspetti erotico-morbosi (che con Hitchcock rimaneva perennemente nel sottotesto) va letta alla luce della nuova estetica post 70’s che ha visto l’abbattimento di molti tabù e la ridefinizione del comune senso del pudore, in favore di una rinnovata aggressività visiva. Le citazioni ossessive, le atmosfere caricate, l’ambiguità dei personaggi, il manierismo formale, l’utilizzo estroso del metacinema; tutto concorre al risultato finale e tutto diventa simbolo, marchio di fabbrica, feticcio, di un autore che ha fatto del talento visionario la sua più evidente connotazione artistica. Nel ricco cast vanno sicuramente citati Michael Caine, Angie Dickinson, Nancy Allen e Keith Gordon. Assolutamente memorabile la lunga sequenza dell’inseguimento nel museo, una delle vette stilistiche dell’estro di De Palma. Splendida la colonna sonora del fidato Pino Donaggio, i cui capolavori musicali composti per il regista italoamericano hanno lasciato un segno indelebile nella storia del thriller. Alla sua uscita il film destò non poche polemiche per le sue scene ad alto tasso erotico e per l’immagine, secondo alcuni degradante, che veniva offerta dell’universo femminile. Un’altra celebre diatriba legata alla pellicola è quella relativa alla sequenza iniziale in cui appare il corpo nudo di Kate Miller: la notizia trapelata che il corpo non fosse della Dickinson (che è stata un sex symbol degli anni ’70), ma quello di una controfigura, causò un certo sconcerto nel pubblico. Ma proprio da questa controversia De Palma trasse lo spunto per uno dei suoi capolavori successivi, Body Double, che in inglese vuol dire, appunto, “doppio corpo” ovvero controfigura.

Voto:
voto: 4/5

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