Querelle è un marinaio imbarcato sulla
nave “Vangeur” che sbarca a Brest e si avventura in un sordido percorso nei
bassifondi della città portuale alla ricerca di sé stesso. Tra bordelli, ladri,
rapporti omosessuali, droga, omicidi e prostitute, Querelle finisce per tornare
sulla nave, dove si concede sessualmente al suo capitano, da sempre invaghito
di lui. L’ultimo film di Fassbinder (che morirà per overdose di stupefacenti poco
dopo averlo ultimato), tratto dal romanzo omonimo di Jean Genêt, è un cupo
dramma antirealistico immerso in un’estetica onirica di allucinata potenza
visiva e di straniante malia torbida. Interamente girato in un teatro di posa,
si compiace dell’utilizzo “osceno” di scenografie barocche, di orpelli
manieristici di evidente simbologia fallica, di una fotografia cromaticamente
saturata che vira nel rosso e di un’enfasi spudoratamente compiaciuta, la cui
freddezza evoca la morte. L’ultima coraggiosa riflessione del genio bavarese è
potente, sfacciata, estrema, pessimista e ci consegna l’atto conclusivo della
sua lunga galleria di ritratti dedicati al lato oscuro di un’umanità sadica e
alienata. Il testamento artistico di Fassbinder è un film “maledetto” e
nichilista, un’opera controversa e scandalosa che, inevitabilmente, divise la
critica e spiazzò il pubblico. Fu bersagliato dalla censura per le forti sequenze
erotiche di natura omosessuale, soprattutto in Italia, dove uscì col massimo
divieto e con pesanti tagli. Come al solito il tempo ne ha rivalutato lo status artistico, facendolo divenire per
molti un cult della cinematografia underground (per i fans del regista lo è
stato fin da subito), ma lasciando aperta la controversia tra i critici sul
dibattito capolavoro si o capolavoro no. Rispetto alla filmografia dell'autore
il film sposta l'ambientazione dalla Germania a un universo immaginario (solo
nominalmente riferito alla città portuale francese), un mondo artificiale e
artificioso, illuminato da fasci di luce colorata e denso di dettagli
apertamente surreali e sottilmente simbolici. Dal punto di vista contenutistico
l’autore resta invece ancorato alle sue tematiche classiche (i rapporti di
sopraffazione tra gli esseri umani con messa a fuoco delle dinamiche
sadomasochiste), esaminandole con l’occhio rigoroso di uno scienziato che
riproduce un esperimento in laboratorio e riportandone le implicazioni
psicologiche con la pedanteria di un filologo. Bandendo i sentimenti in favore
delle pulsioni più brutali e primitive, legate al desiderio della carne, il
regista ci immerge in una realtà di forte valenza tragica scegliendo di
sospenderla in un’atmosfera onirica al confine tra il delirio erotico e la
provocazione sarcastica. Decadente e nevrotico, sprezzante nel suo estetismo virile,
brechtiano nei suoi intermezzi colti che spezzano il fluire visionario delle
crude immagini, il film contiene l’essenza più intima dell’arte di Fassbinder,
sospesa tra genio e perdizione. Il suo unico vero limite consiste,
probabilmente, nella feroce seriosità metaforica e nella totale mancanza di
quell’impalpabile ironia che, in molte opere dell’autore bavarese, faceva da
indicatore della poesia intrinseca alle immagini. Nel cast ricordiamo la
presenza di Brad Davis, Franco Nero, Jeanne Moreau e Laurent Malet. La
pellicola fu presentata in anteprima al Festival del Cinema di Venezia del 1982,
subito dopo la morte del regista. Il presidente della giuria, Marcel Carné, la
reputò un capolavoro e si batté con tutte le sue forze per vedergli attribuire
il Leone d’oro, che invece fu vinto da un altro film tedesco: Lo
stato delle cose di Wim Wenders.
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