Il
tenente colonnello in pensione Frank Slade, non vedente, scorbutico e annoiato
dalla vita, decide di trascorrere un weekend a Manhattan per fare follie,
ubriacarsi e porre fine alla sua esistenza. Si fa accompagnare da Charlie,
giovane studente di modesta estrazione sociale che frequenta un college
esclusivo ma rischia di perdere la borsa di studio per guai personali con il
preside. Il ragazzo è, al tempo stesso, affascinato e turbato dalla rude
personalità del colonnello ma, durante il viaggio, avrà modo di conoscerne
meglio i pregi e le asperità del difficile carattere e tra i due nascerà un
rapporto autentico. Remake americano del film
omonimo di Dino Risi del 1974,
a sua volta tratto dal romanzo “Il buio e il miele” di Giovanni Arpino. Come spesso accade quando
dall’altro lato dell’oceano decidono di metter mano a vicende europee, i danni
sono notevoli. In questo caso il difetto maggiore è già nel manico, la
sceneggiatura stiracchiata di Bo Goldman, che trasferisce l’azione a New York,
eleva il giovane accompagnatore a coprotagonista ed infarcisce la narrazione di
inutili lungaggini, di retorica edificante e di dozzinale sentimentalismo. Il
risultato è una brutta copia pachidermica e maldestra, sospesa tra la melassa
ruffiana e l’istrionismo demagogico del protagonista, interpretato con enfasi
dal carismatico Al Pacino, che per questa interpretazione ha ricevuto l’unico
Oscar della sua grande carriera. Un generoso contentino per i torti ricevuti in
passato, alla maniera dell’Academy Awards. Il film vale unicamente per la
magica sequenza del tango che Pacino balla con una bella sconosciuta, l’unico
momento alto di una pellicola innocua. Da applausi il doppiaggio italiano
eseguito da Giancarlo Giannini, che presta la voce a Pacino con magnetica
efficacia. Il pistolotto finale del colonnello davanti alla commissione
disciplinare del collegio è l’emblema di un certo cinema hollywoodiano che
piace tanto al pubblico: tronfio, buonista e ampolloso.
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