Antonio,
carabiniere calabrese, riceve l’incarico di accompagnare due bambini, Rosetta
di undici anni e suo fratello Luciano di nove, da Milano ad un orfanotrofio di
Civitavecchia, che però si rifiuta di accoglierli, provocando l’allungamento
del viaggio fino alla Sicilia. I due piccoli provengono da una famiglia
problematica di emigrati siciliani, la cui madre (senza marito) è stata
arrestata perché costringeva Rosetta a prostituirsi pur di riuscire a sbarcare
il lunario. Tra Antonio e i bambini si stabilisce un tenero rapporto e l’uomo,
a causa delle diverse digressioni di percorso compiute durante il viaggio allo
scopo di compiacerli, rischia persino l’accusa di rapimento, non avendo provveduto
ad avvisare il suo comando. Eccellente dramma di denuncia sociale, diretto da Amelio
con lucido rigore e con toccante pudore, dando voce all’evoluzione del rapporto
tra il carabiniere e i suoi piccoli compagni di viaggio, che procede per
passaggio osmotico di sentimenti e di emozioni. Rosetta e Luciano, la cui
innocenza è stata precocemente rubata dai traumi di una vita aberrante che la
crudeltà dei grandi ha riservato loro, riusciranno, almeno in parte, a
riappropriarsi dell’infanzia grazie ai giorni vissuti con Antonio, figlio
sensibile di quel Sud capace di fondere all’unisono incredibile tenerezza e
brutale violenza. Il viaggio attraverso l’Italia e i suoi tanti volti assume i
contorni del romanzo di formazione, alla ricerca di quella purezza perduta che
può essere ritrovata tra la gente semplice, fiera portatrice di un’umile dignità
e ancora capace di gesti spontanei, non macchiati dal vizio dell’interesse.
Evitando accuratamente tutte le trappole della retorica, del populismo e del
sentimentalismo, il regista ricorre a una messa in scena “neorealistica” (per
la quale molti hanno evocato De Sica e Rossellini), densa di sfumature
psicologiche, di etica civile e d’indignazione sociale. L’intreccio volutamente
esile si espande e si contrae, come una fisarmonica, per mostrare le mille
contraddizioni di un’Italia sospesa tra bellezza e degrado; dai quartieri
dormitorio delle periferie del Nord, in cui l’integrazione degli emigranti
meridionali non è mai realmente avvenuta, alla decadenza romana, dalle costruzioni
abusive di una Calabria assolata, all’aspro paesaggio siciliano. Entrando
sempre in punta di piedi nelle vite dei personaggi principali, l’autore ne
evidenzia lo sradicamento esistenziale ma ne rispetta il disagio morale,
metaforicamente rappresentato dai pesanti bagagli che i tre sono costretti a
trascinarsi dietro. La più grande abilità di Amelio si evidenzia nelle scene di
silenzio, in cui dà voce ai volti, agli sguardi, ai corpi, con un senso lirico
di magistrale potenza evocativa. Mai consolatorio, ora crudo ora poetico, questa
grande opera di denuncia si avvale delle straordinarie interpretazioni dei tre
protagonisti (Enrico Lo Verso e i piccoli Valentina Scalici e Giuseppe
Ieracitano) e vanta diverse sequenze memorabili: il bagno in mare, Rosetta che
pone domande di catechismo alla futura comunicanda o che recita il Rosario in
attesa del prossimo cliente, il pranzo calabrese. E’ il miglior film
dell’autore e venne premiato al Festival di Cannes con il Gran Premio Speciale
della Giuria.
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