Nella Napoli degli anni ’80 si svolgono
le vicende parallele di due personaggi diversi che condividono lo stesso nome,
Antonio Pisapia, e il medesimo destino di inesorabile caduta umana e professionale.
Il primo è un crooner di successo,
spavaldo e megalomane, che ha smarrito l’estro creativo e incappa in una brutta
vicenda giudiziaria per le sue frequentazioni poco raccomandabili. Il secondo è
un calciatore ingenuo e introverso, che deve gestire il difficile passaggio tra
la fine imminente di un’eccellente carriera sportiva e il sogno di diventare
allenatore. Entrambi toccheranno il fondo dell’abisso e proveranno l’amarezza
del buio dei riflettori che si spengono, inesorabili, dopo un passato di
successi. L’esordio cinematografico di Paolo Sorrentino è un cupo dramma
esistenziale ambientato in una Napoli tetra e spietata, raffigurata in maniera
volutamente antitetica rispetto agli stereotipi tradizionali. Le due vicende,
raccontate in alternanza con un decisivo punto d’intersezione nel finale, sono
parzialmente ispirate a quelle reali del cantante Franco Califano e del
calciatore Agostino Di Bartolomei. E’ un film intimista, riflessivo e
profondamente amaro che mette a fuoco con dolente precisione i due protagonisti
(due perdenti di alta densità tragica), per tracciare una palese critica agli
ambienti della musica e del calcio, cinicamente rapidi nel far passare i suoi
idoli dalla glorificazione all’oblio. Bravissimi i due interpreti, Toni
Servillo e Andrea Renzi, in particolare il primo, davvero straordinario, anche
nel cantare da sé, con ammirevole credibilità, le canzoni appositamente scritte
per il film dal fratello Peppe (leader degli Avion Travel) e dallo stesso
regista. Il riferimento alla camorra, pur presente, è soltanto velato perché Sorrentino
identifica stavolta il vero “nemico” nel perverso meccanismo distruttivo del
mondo dello spettacolo, che, con disumana voracità, divora le stesse icone che
ha creato. Effervescente e creativa, quest’opera d’esordio del talentuoso
regista napoletano sorprende per la sua lucida analisi sociologica e ci
consegna dei ritratti ambigui, profondi e mai banali di figure decadenti ed
emblematiche, simboli pregnanti di un mondo in preda al disvalore. Memorabile
la sequenza di Pisapia/Servillo che canta mestamente i suoi vecchi successi
nella piazza gelida e semideserta di un anonimo paesello di provincia.
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