lunedì 19 giugno 2017

The Blair Witch Project - Il mistero della strega di Blair (The Blair Witch Project, 1999) di Daniel Myrick, Eduardo Sanchez

Nell’ottobre del 1994 tre giovani studenti si avventurano nei selvaggi boschi di Burkittsville (un tempo chiamata Blair) nel Maryland, per girare un documentario su un’antica leggenda locale, secondo cui una diabolica strega vissuta 200 anni prima avrebbe rapito, portato nel bosco e poi ucciso in modi orribili un gran numero di bambini. In breve i tre si smarriscono nella fitta boscaglia e, dopo aver assistito ad eventi sempre più inquietanti, spariscono senza lasciare traccia. Qui finisce la trama del film e, da questo punto in poi, inizia la furba mistificazione che ha reso la pellicola famosa attraverso un’astuta operazione di marketing virale, tra l’altro nemmeno originale. Un anno dopo vengono ritrovate le bobine abbandonate nel bosco con tutto il filmato girato dai tre dispersi e l’intero materiale, che chiarisce in parte l’atroce sorte dei giovani, viene montato in un film da Daniel Myrick e Eduardo Sanchez, e poi distribuito nelle sale cinematografiche. Copiando spudoratamente l’idea del falso documentario che mostra la morte violenta dei protagonisti, già sperimentata nel 1980, con grande successo commerciale e parecchi guai giudiziari, dal nostro Ruggero Deodato nel famigerato Cannibal Holocaust, i due giovani registi esordienti sono riusciti a fare il botto al botteghino, facendo parlare moltissimo del film e creando addirittura un piccolo fenomeno di costume al tempo dell’uscita in sala. E’ quasi inutile sottolineare la spropositata esagerazione (della serie tanto rumore per nulla) di una fenomenologia fasulla e inconsistente, costruita su un becero filmetto grezzo, girato a basso costo e con pochissimi mezzi, che è riuscito a cavalcare l’onda della credulità e dell’inettitudine sociale. Divenne rapidamente un cult presso le giovani generazione e ci vollero diversi mesi per sgombrare definitivamente il campo dalla presunzione di verità degli eventi mostrati. L’intera operazione dimostra però chiaramente una cosa: che nel moderno mercato il “come” conta più del “cosa” e del “perchè”. Due meriti vanno comunque riconosciuti a questo farlocco anti-film: l’indubbia furbizia dell’operazione commerciale che permise alla pellicola di realizzare il più alto incasso in assoluto in termini di rendimento/costo (l’idea sarà pure stata copiata però, dopo quasi vent’anni, nessun altro aveva pensato di riprovarci). E poi la scelta (obbligata ?) di non mostrare mai nulla esplicitamente: niente sangue, niente violenza, niente delitti, niente strega. Il film cerca di spaventare (e per alcuni ci riesce alla grande) giocando unicamente sulle atmosfere, sulle attese, sul timore di ciò che avverti ma non vedi, sull’ancestrale paura infantile del buio. E se il primo “merito” è solo una scaltra ruffianeria, il secondo è indubbiamente lodevole nelle intenzioni, anche se il vero terrore è ben altra cosa. Visto il grande successo di pubblico ne sono stati girati ben due seguiti, di diverso approccio progettuale, ma ugualmente insulsi. Ogni epoca ha il film bluff che si merita: meditate gente, meditate!

Voto:
voto: 2/5

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