Frank Pierce è un paramedico che
trascorre le sue notti su un’ambulanza per soccorrere i tanti bisognosi nelle
pericolose strade di New York. Insieme ai suoi colleghi è ormai abituato allo
“spettacolo” della morte e del dolore, ma, dopo il decesso per overdose di una
giovane donna (che gli muore letteralmente tra le mani), il nostro entra in una
profonda crisi esistenziale. Stanco ed angosciato, Frank intraprende un
percorso autodistruttivo tra alcool, allucinazioni e tentativi di “fuga” dalla
sua tragica realtà. Perseguitato dai fantasmi di tutti i pazienti che non è
riuscito a salvare, l’uomo sceglie infine di abbandonarsi totalmente al suo
calvario, alla ricerca di una catarsi. Cupo dramma ansiogeno di Scorsese, che
riprende le atmosfere malsane di Taxi
Driver (le sporche strade della “grande mela” raffigurate come un
inferno metropolitano) e le distorsioni grottesche di Fuori
Orario, ma vi aggiunge un surplus
allucinato da delirio lisergico, scandito dalla voice over del protagonista, da una messa in scena con forti contrasti
cromatici che virano nel rosso sangue, da immagini e visioni disturbanti e dal
profondo senso di disperato degrado che trasuda dalle sequenze e dai
personaggi, meschini relitti di un’umanità allo sbando. I toni sono
costantemente sopra le righe, esagitati come il protagonista, ben interpretato
da uno spiritato Nicolas Cage, probabilmente nella migliore interpretazione
della sua carriera, ma le figure di contorno appaiono troppo esasperate,
sfociando a volte nel caricaturale. In particolare i tre colleghi di Frank, che
si alternano in sua compagnia nella tre giorni in cui si svolge il film: il
caustico Larry, l’esaltato Marcus e il morboso Tom, che si esalta alla vista
del sangue. Ispirato al romanzo “Pronto soccorso” di Joe Connelly (che ha
prestato servizio come autista di ambulanze per un decennio), il film segna il
ritorno della collaborazione (la quarta e ultima) tra Scorsese e lo
sceneggiatore Paul Schrader. Fedele all’eterno tema religioso del rapporto tra
colpa e redenzione, uno dei cardini della filmografia dell’autore
italoamericano, è una palese metafora cristologica su un doloroso percorso di
passione, una via crucis attraverso le anime disperate e maledette di quel
crogiolo di razze, di vizi e di pulsioni che è New York City, la sua città “dannata”,
simbolo della decadenza occidentale, amata e odiata, perenne riferimento di
tutta la sua estetica. Il travaglio espiativo di Frank termina tra le braccia
di una moderna Maddalena (che, guarda caso, si chiama Mary), dove avrà luogo la
sua “resurrezione” laica, attraverso un chiaro riferimento alla Pietà
michelangiolesca, sempre con l’ombra angosciosa della morte a fare da
testimone. E’ un film oscuro e visionario, sofferto e definitivo, quasi una
sorta di commiato dell’autore dalla sua città, a cui poi tornerà nuovamente,
tre anni dopo, con Gangs
of New York, solo per esplorarne le radici mitografiche, la matrice
ancestrale di quella violenza che ne insanguina le strade, rendendola un simulacro
dell’umana corruzione. Oltre al già citato Cage completano il cast Ving Rhames,
John Goodman, Tom Sizemore e Patricia Arquette.
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