venerdì 15 aprile 2016

The Aviator (The Aviator, 2004) di Martin Scorsese

Frammenti sparsi della biografia del leggendario magnate Howard Hughes, figura emblematica del Sogno americano. Erede di una ricca famiglia di petrolieri, produttore cinematografico, imprenditore, regista, aviatore, inventore di avveniristici modelli di aeroplano e proprietario della compagnia aerea TWA. La sua personalità complessa e tormentata, tra genio e dannazione, fobie e lati oscuri, ci viene raccontata attraverso le vicende essenziali di un ventennio della sua intensa vita. Dai tumultuosi amori con le grandi dive di Hollywood alle tormentate lavorazioni cinematografiche per film ambiziosi come Gli angeli dell’inferno o scandalosi come Il mio corpo ti scalderà. Dai rocamboleschi incidenti aerei (a cui è sempre miracolosamente scampato) alle inchieste parlamentari per finanziamenti illeciti, con accuse di corruzione, fino alla trionfale autodifesa vincente davanti alla commissione giudiziaria presieduta dal ringhioso senatore Brewster (a sua volta manipolato dai rivali in affari di Hughes). Il primo biopic di Martin Scorsese, su un personaggio simbolo del capitalismo americano e perfettamente affine alla sua sensibilità artistica, è un film imponente, colossale nella ricostruzione d’epoca e tecnicamente sopraffino, ma con poco cuore e poca anima. Un gigante dai piedi d’argilla, un grande circo delle meraviglie a cui manca la fiamma, il ruggito, il genio del grande Maestro newyorkese. Le scene memorabili non mancano ma la grandiosità dell’opera aumenta il senso di delusione e la percezione di un’occasione mancata. C’è tanto ma non abbastanza, c’è troppo ma non nelle giuste direzioni e l’autore appare a tratti pavido nella demistificazione del sogno americano, mentre invece eccede in sequenze truci, e di dubbio gusto, per evidenziare i lati oscuri, le paranoie e le spigolosità del personaggio. Sia chiaro che non si può affatto parlare di agiografia, ma numerosi aspetti negativi di Hughes sono omessi o banalizzati, le connessioni drammatiche tra il suo aspetto pubblico e quello privato si limitano all’analisi superficiale e le dive d’epoca vengono ritratte come flebili figure ornamentali (tranne la Katharine Hepburn di Cate Blanchett). Forse anche per colpa di una sceneggiatura a tratti lacunosa emerge più volte la sensazione di un’opera innocua, con poco mordente e scarsa personalità, uno spettacolo opulento costruito appositamente per incontrare il gusto dell’Academy. E, non a caso, la pellicola ebbe undici nomination agli Oscar 2005 vincendo cinque premi: attrice non protagonista a una Cate Blanchett tutta moine e gridolini (in un’interpretazione assai manierata e sopravvalutata), fotografia, costumi, montaggio e le splendide scenografie dei nostri Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo. Leonardo DiCaprio, in una performance memorabile, forse la migliore della sua carriera, avrebbe senz’altro meritato il premio, ma dovette arrendersi al mimetico Jamie Foxx di Ray. Completano il cast stellare Alec Baldwin, Gwen Stefani, Kate Beckinsale, John C. Reilly, Jude Law, Alan Alda, Ian Holm e Danny Huston. Questo film inamidato e pachidermico non va oltre lo spettacolare intrattenimento. Francamente troppo poco per un Maestro come Scorsese.

Voto:
voto: 3/5

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