giovedì 14 aprile 2016

Re per una notte (The King of Comedy, 1983) di Martin Scorsese

Rupert Pupkin è un aspirante attore che annaspa tra continui insuccessi, pur essendo convinto di essere un genio comico. All’apice della frustrazione sequestra un grande divo della tv, Jerry Langford, che lo ha sempre bistrattato, per convincerlo ad apparire nel suo celebre show televisivo, “The King of Comedy”. Così lo strampalato Pupkin avrà finalmente lo spazio mediatico a lungo atteso ed otterrà un incredibile successo di pubblico. Ma, alla fine, dovrà andare in prigione per il suo gesto. Brillante e feroce commedia nera sul rampantismo dei guru televisivi e sul cinismo di un mondo spietato come quello dello spettacolo, pronto a renderti un divo in un attimo (i famosi “15 minuti” di Andy Warhol) per poi dimenticarti l’istante successivo. Intrisa di sottile malinconia e di paranoico surrealismo grottesco, è anche una caustica riflessione sui rituali tribali del pubblico di massa, i cui umori volatili, facilmente influenzabili da imprevedibili fattori, determinano destini e carriere di altre persone. Il senso anarcoide dell’opera ed il suo presunto elogio della ribellione (che è invece una profonda critica a un sistema disumanizzante fondato sull’inganno demagogico), la resero invisa alla critica ed anche il pubblico dell’epoca non riuscì a coglierne il sottile potenziale dissacrante. Fu, quindi, un clamoroso insuccesso che condusse il regista sull’orlo del tracollo finanziario al punto che, per i suoi film successivi, egli dovette ricorrere alle produzioni indipendenti. Il confine sottile tra “regalità” e “buffoneria”, che sta alla base della pellicola, ne costituisce l’elemento di maggior fascino e la consacra come lucida parabola acida sulle contraddizioni dello show business, dove l’audience conta più della notizia ed il successo si vende “al chilo”. Chi ci ha voluto cogliere una critica al “tutto e subito” del mito americano del self made man, lo ha probabilmente caricato di eccessivi intenti. Grandi le interpretazioni dei due interpreti principali: un bizzarro Robert De Niro (alla sua quinta collaborazione con Scorsese) sempre sopra le righe ed un sornione Jerry Lewis sempre sotto. Il tempo ha concesso al film un meritato stato di cult e la giusta rivalutazione.

Voto:
voto: 4/5

Nessun commento:

Posta un commento