lunedì 11 aprile 2016

La caduta degli dei (La caduta degli dei, 1969) di Luchino Visconti

Le vicende della famiglia Essenbeck, grandi industriali metallurgici, nella Germania dei primi anni ’30, nel periodo in cui i nazisti presero il potere. Tra intrighi, tradimenti, omicidi, incesti e suicidi si consuma una sporca lotta intestina tra i componenti della potente famiglia, per salire al vertice dell’impero industriale e scalzare gli altri pretendenti. La faida vede coinvolti il vecchio patriarca Joachim, in procinto di passare la mano, e i suoi nipoti Martin, psicopatico e malato di sesso, Herbert, già vicepresidente dell’azienda, Konstantin, vicino al partito nazista in piena ascesa politica e l’ambizioso Friedrich, che non appartiene alla famiglia ma è l’amante della vedova dell’unico figlio di Joachim, morto in guerra. Alla fine la spunterà il folle Martin che, manipolato dalle SS, consegnerà di fatto l’azienda ai nazisti, facendola diventare la primaria fucina di armi con cui alimentare il sogno bellico di Hitler. Questo cupo dramma storico è il primo film della così detta “trilogia tedesca” di Visconti (gli altri sono Morte a Venezia (1971) e Ludwig (1972)). Diretto con tetro cinismo ed enfasi tragica dal grande regista milanese, è un fosco affresco di corruzione e desolazione, che descrive, con decadente barocchismo, il crollo di una dinastia e di un mondo ancora ingenuo rispetto alla tempesta di odio e di violenza che il vento nazista stava per abbattere sull’Europa. Con la sua poetica aulica e incline al dramma epico, l’autore mischia insieme, con magistrale abilità, influenze artistiche diverse nella realizzazione di quest’opera imponente: dall’amato Thomas Mann a Shakespeare (con un occhio particolare al “Macbeth”), da “I demoni” di Dostoevskij al wagneriano “Götterdämmerung”. Tra manierismi e ridondanze, e qualche eccesso nelle scene di pura crudeltà sessuale, è una ipnotica apologia del Male di sopraffina confezione tecnica, pervasa da una lussureggiante malia oscura di torbida fascinazione e da un sinistro senso di morte che l’attraversa fin dalle prime sequenze. E’ un film splendido, gelido, teatrale, grandioso, violento e morboso come il Martin von Essenbeck furiosamente interpretato da Helmut Berger, attore feticcio del regista in questo periodo della sua carriera. Completano il grande cast Dirk Bogarde, Ingrid Thulin, Helmut Griem, Umberto Orsini, Florinda Bolkan e Charlotte Rampling. La pellicola si apre e si chiude con la stessa immagine: il rosso fuoco delle acciaierie. Un emblematico presagio dell’inferno storico ormai alle porte.

Voto:
voto: 4,5/5

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