Nella Ferrara degli anni ’30 vivono i
Finzi Contini, un’antica e nobile famiglia di ebrei aristocratici, i cui
splendidi rampolli, Micol e Alberto, trascorrono le giornate tra partite a
tennis, agi, spensieratezze e pruriti amorosi nello splendido giardino della
loro grande villa. Insieme a loro c’è la bella gioventù della borghesia
ferrarese, tra cui Giorgio, da sempre innamorato della bella Micol, e il
comunista milanese Giampiero, che ha con lei una tresca segreta. Ma su tutti
loro incombe l’ombra dell’antisemitismo nazifascista, delle leggi razziali
ormai in atto e della guerra che presto sconvolgerà il mondo. Tratto dal
romanzo omonimo di Giorgio Bassani, è l’ultimo film importante di Vittorio De
Sica, premiato con l’Oscar al miglior film straniero (il quarto per il grande
regista laziale). De Sica, inizialmente preoccupato per la separazione
professionale dal fedele sceneggiatore Zavattini (che qui venne sostituito da
Ugo Pirro), apportò diversi cambiamenti rispetto al testo ispiratore e ciò
provocò lo sdegno di Bassani che chiese di essere cancellato dai crediti della
pellicola. Le principali modifiche riguardano il personaggio di Giorgio (che
nel film rimpiazza l’io narrante del libro, visto che la vicenda è narrata dal
suo punto di vista), la relazione tra Micol e Giampiero (che nel romanzo non
viene mai palesata) ed il finale (che fu il motivo principale della
controversia tra scrittore e regista). La messa in scena è ovattata e
crepuscolare, la ricostruzione storica è un po’ debole e la pellicola indulge
spesso nel kitsch o nel sentimentale, con punte didascaliche nella descrizione
dei rapporti tra i personaggi. Ma l’opera, che riscosse un grande successo
internazionale, ha anche i suoi indubbi meriti, soprattutto nella felice scelta
di non mostrare mai chiaramente l’Olocausto, i nazisti, le deportazioni e tutti
quegli elementi visivi che inconsciamente associamo ai film di questo tipo, pur
facendocene avvertire costantemente la minacciosa incombenza. E’ altresì
encomiabile la perfetta rievocazione di quel clima di indolente passività in
cui versava l’alta borghesia ebraica dell’Italia settentrionale, profondamente legata
alle idee liberali del periodo prefascista ed ingenuamente incredula rispetto
alla possibilità di una persecuzione ai suoi danni. I giovani protagonisti
appaiono come creature angelicate, fragili, viziate, quasi stolte nel loro
inebetito candore, rispetto a ciò che stava accadendo al di là del muro di
cinta del loro giardino incantato. In questo film di illusioni, di separazioni
e di sogni infranti, l’irruzione della Storia, in tutto il suo traumatico realismo,
nell’Eden dove i protagonisti hanno cullato la loro vanità giovanile, avrà la
forza di un castigo assoluto, di un contrappasso tragico, dopo il quale niente
sarà più come prima. Nel ricco cast che vede la presenza di Lino Capolicchio,
Helmut Berger, Fabio Testi e Romolo Valli, spicca la francese Dominique Sanda,
bella e brava, nel ruolo centrale di Micol. Lo stupendo giardino che si vede
nel film è in realtà Villa Ada, a Roma.
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