Dopo la morte di San Francesco d’Assisi,
Chiara ne rievoca la vita insieme ad alcuni fedeli seguaci. Assistiamo quindi
alle tappe salienti del percorso terreno del patrono d’Italia: dalla giovinezza
aristocratica alla prigionia durante la guerra perugina, dalla rinuncia ai beni
materiali alla fondazione della Regola francescana con il voto di assoluta
povertà, dalle predicazioni ai miracoli, dalle stimmate alla morte. La
controversa regista emiliana Liliana Cavani, autrice profonda, trasgressiva e
mai banale, deve avere un’evidente predilezione per il santo di Assisi, visto
che ha diretto ben tre film sulla sua straordinaria vita. Uno per la
televisione nel 1966, uno per il cinema nel 1989 ed un ultimo, ancora per il
mezzo televisivo, nel 2014.
In questa versione cinematografica, che è anche la
migliore, nata da una coproduzione italotedesca, la Cavani realizza un film
duro, spigoloso, mai retorico, rappresentando un medioevo lercio, brutale,
fatto di sangue e di fango, brulicante di malattie, di miseria, di degrado e di
villica ignoranza. In questa cornice poco affine all’edulcorata agiografia,
l’autrice ambienta la sua sfida più grande che consiste nella scelta di un
protagonista apparentemente agli antipodi rispetto al personaggio di Francesco
d’Assisi. Superando quanto già fatto nel 1966 (quando fu il ribelle Lou Castel
a vestire gli umili panni del più celebre santo italiano), la nostra affida
l’iconico ruolo ad un altro affascinante “maledetto”, che esplose negli anni
’80 divenendo emblema di quel coolness
erotico trasgressivo per vocazione: l’americano Mickey Rourke. Inutile
sottolineare come la distanza tra Assisi e 9
settimane e ½ sia più che oceanica, ma sono proprio questi i cimenti
che piacciono agli attori ed in cui se ne vedono le reali qualità. Rourke non è
disastroso, come molti avevano temuto all’annuncio del casting, e se la cava
discretamente con una caratterizzazione assai fisica del santo umbro, tuttavia
la sua scarsa attitudine ai ruoli lirici fa perdere molto in termini di
spiritualità e di poesia rispetto all’incredibile vita di Francesco. E questa
è, probabilmente, la pecca maggiore di questo film che ha barattato l’estasi
mistica con il realismo visivo, seguendo una chiara scelta registica. Resta
comunque un’opera affascinante, coraggiosa, qua e là prolissa nel suo desiderio
di completezza storica, violenta e struggente nei suoi passaggi salienti, in
cui i più riusciti sono quelli relativi al tormento interiore del santo nella
sua dolorosa ricerca di Dio. Buone le interpretazioni degli attori deputati ai
ruoli di contorno, come Mario Adorf (Ugolino di Segni) e Paolo Bonacelli
(Pietro di Bernardone), mentre la “narratrice” Santa Chiara è affidata alla
britannica Helena Bonham Carter. Non è il miglior film della regista di Carpi,
ma merita comunque ampiamente la visione.
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