Sophie
Zawistowska, ebrea polacca sopravvissuta ai lager nazisti ed emigrata negli
Stati Uniti, vive a New York con il marito, intellettuale nevrotico ossessionato
dall’Olocausto. L’incontro con il giovane scrittore Stingo, che in breve
diverrà amico di famiglia, risveglia nella donna tristi ricordi del suo
doloroso passato ad Auschwitz, che inizierà a raccontare all’uomo, chiaramente
invaghito di lei. Le scioccanti rivelazioni di Sophie condurranno,
inevitabilmente, ad un finale tragico. Intenso dramma, più morale che storico, tratto
dall'omonimo romanzo di William Styron e diretto con discontinua aderenza (a
volte troppo distaccato, a volte troppo coinvolto) da Alan Pakula. Ammantato da
dolorosa suggestione e da un opprimente senso di morte, è una cupa apologia del
rimorso spesso appesantita da una narrazione interrotta (nei continui slittamenti
del piano temporale), da un prologo iperdilatato e da una certa ridondanza
espressiva. Gli attori però sono bravissimi, specialmente Meryl Streep
(meritatamente premiata con l’Oscar), in un personaggio di indimenticabile
statura tragica: fragile, tormentata, lacerata, non priva di ambiguità e di
lati oscuri. Completano il cast Kevin Kline (al suo esordio cinematografico) e
Peter MacNicol, entrambi credibili al cospetto della formidabile protagonista.
Altri punti di eccellenza della pellicola sono la splendida fotografia di Néstor
Almendros e la felice scelta di mostrare le sequenze nei campi di sterminio in
modo asettico, perché narrate dalla cinica prospettiva rituale dei nazisti. La
scelta del titolo non è quella compiuta nel passato, nel lager, ma, piuttosto,
quella della morte, compiuta nel presente. Visto che capita di rado va anche
data una menzione speciale all’ottimo doppiaggio italiano, effettuata da
Rossella Izzo sul personaggio della Streep.
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