Bucarest, 1938: Dominic Matei, anziano
docente di linguistica, è tormentato dal ricordo di Laura, la donna da lui
amata morta di parto in gioventù. Stanco della vita e deciso a suicidarsi
tramite iniezione letale, viene colpito da un fulmine davanti alla stazione
della sua città, nel giorno di Pasqua. La scarica elettrica provoca un
miracoloso ringiovanimento nell’uomo, regalandogli una seconda vita ed
accrescendone le facoltà fisiche e mentali. Per sfuggire ai nazisti, che
intendono studiarlo, si rifugia in Svizzera, dove incontra la bella Veronica
che, per molti aspetti, gli ricorda l’amata Laura, di cui sembra
l’incarnazione. I due iniziano a viaggiare insieme per il mondo, ma la donna pare
avere precoci segni di invecchiamento. Ispirato al romanzo omonimo del rumeno
Mircea Eliade, questo piccolo film indipendente di Coppola, girato in meno di
tre mesi, è un ambizioso pastiche di
thriller, melodramma, cinema politico, noir
fantastico e riflessione filosofica, che, partendo dall’ammissione della finitezza
umana, va alla ricerca delle radici del linguaggio cinematografico. In questa
fiaba metafisica, che gioca di continuo con il tempo, il regista, proprio come
il suo protagonista Dominic Matei, ossessionato dallo studio linguistico, si
pone analogamente a un filologo che intende recuperare le forme essenziali dei
codici cinematografici, rinnovandone le immagini e le strutture visive con
un’operazione che si rivolge ai pionieri dell’epoca classica, a quel geniale
“artigianato” che rese grande la settima arte. E’ indubbiamente un’opera
personale, intima, un’elegia ipnotica sospesa tra magia e scienza,
anticommerciale per vocazione e pervasa da evidenti suggestioni autobiografiche.
Ancora dotato di forte esuberanza sperimentale, nonostante l’età matura, il
Maestro italoamericano sceglie di realizzare un film spiazzante, paradossale, che
mira a modificare la struttura diegetica amalgamando elementi letterari ad
elementi filmici e caricando le immagini di simbolismi romanzeschi, geroglifici
del pensiero, come un libro le cui pagine vengono fatte scorrere in rapida
sequenza, dando vita ad un flusso di forme in movimento. Come tutti i grandi
visionari Coppola cerca di andare sempre oltre il limite, oltre se stesso,
oltre i suoi capolavori e non rinuncia mai a rischiare. Questo film astratto ne
è la conferma, una parafrasi del ritorno che piega i flussi temporali in
funzione della forma cinema, tra iperboli e simbolismi, metempsicosi e
distorsioni della coscienza, provocando un senso di vertigine nello spettatore.
Non tutto funziona a dovere in questa surreale esplorazione rapsodica delle
stagioni del vivere umano, ad esempio alcuni momenti suscitano un senso di
ridicolo involontario ed esiste una chiara differenza di peso specifico tra la
sua sperimentale ricerca semantica e la sua effettiva densità narrativa. La
sensazione è quella di trovarsi di fronte ad un disperato atto d’amore nei
confronti del cinema, un passionale suicidio, un po’ goffo e un po’ sublime. Se
e quanto questo film, passato in sordina, riuscirà nell’alto intento di
aggiornare il vocabolario del cinema saranno i posteri a dirlo, intanto noi ci
godiamo il ritorno di Coppola e del suo sguardo sempre originale, mai banale,
perennemente alla ricerca di un “tempo altro” in cui soddisfare il proprio ego
creativo. Nel cast segnaliamo Tim Roth, Bruno Ganz, Alexandra Maria Lara, André
Hennicke ed un piccolo cameo di Matt Damon.
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