Due ricche famiglie del midwest si
riuniscono in una grande villa sul lago Michigan per festeggiare le nozze di
Dino Corelli e “Meringa” Brenner. Entrambe le famiglie appartengono a quella
schiera di arricchiti volgari tipicamente tronfi e un po’ patetici.
L’improvvisa morte della nonna Nettie, da tenere nascosta agli invitati fino
alla fine della festa nuziale, darà origine a un grottesco circo di ipocrisie,
meschinità e figuracce in cui ciascuno dei presenti saprà mostrare i suoi tanti
vizi e i suoi pochi pregi. Crudele commedia nera di Altman sotto forma di
velenosa satira sociale, che colpisce, con beffarda impudenza, il malcostume,
l’arroganza e la sconcezza di alcuni ceti della collettività statunitense (tra
questi vi sono anche un certo prototipo di italoamericani). L’autore usa tutta
la sua proverbiale perfidia per tratteggiare questo strepitoso e colorito
carnevale antropologico, affresco al vetriolo di un’America becera e triviale,
arricchitasi oltre misura (e oltre i propri meriti) grazie alla rapace
furbizia. Il grande cast corale (ben 48 personaggi!) esaspera il modello del
suo capolavoro Nashville
ed evidenzia l’incredibile maestria del regista nel sapersi muovere con
leggerezza in un turbinio di storie e di situazioni, dando vita a geniali
momenti tragicomici. Altman non fa sconti e maltratta praticamente tutti i
personaggi, evidenziandone il malessere interiore, il disagio esistenziale, la
profonda amoralità ed il conformismo ipocrita. Del ricco cast citiamo Desi
Arnaz Jr, Amy Stryker, Geraldine Chaplin, Mia Farrow, Lillian Gish e gli
italiani Vittorio Gassman e Gigi Proietti. Il racconto procede in modo
circolare, immersivo e non lineare, sottolineando i rapporti multipli e
simultanei tra gli invitati alla festa, e ponendo il pubblico al loro stesso
livello come se fosse uno di loro. Questo tipo di tecnica è ispirata a quelle
avanguardie teatrali a cui Altman si è spesso rivolto nelle sue feroci commedie
corali. La veridicità sociologica dell’affresco, per alcuni troppo caotico, è,
a volte, sacrificata sull’altare dell’evidente distorsione caricaturale attuata
dall’autore, che amplifica i bersagli della sua critica per elevarli a simboli
archetipi. L’abbattimento canzonatorio dei modelli istituzionali (famiglia, matrimonio,
religione) e l’enfatizzazione dell’eterno dualismo snobistico tra vecchi e
nuovi ricchi, fanno parte dell’irriverente stile altmaniano, che pone sempre
l’America contemporanea al centro dei suoi interessi caustici. La coesistenza
di toni differenti in questo variopinto mélange
di meschina umanità è palesata dal sottile senso di morte che aleggia
costantemente, fin dalle prime sequenze, su un film oggettivamente molto
divertente. L’irresistibile finale derisorio, in bilico tra comico e tragico, è
l’ultima beffa del “diavolo” di nome Robert, il più cinico e intelligente tra i
registi americani della sua generazione.
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