domenica 5 novembre 2017

La scoperta (The Discovery, 2017) di Charlie McDowell

Un brillante fisico fa un'incredibile scoperta destinata a cambiare per sempre il futuro dell'umanità: attraverso dei sofisticati macchinari tecnologici da lui costruiti riesce a dimostrare scientificamente l'esistenza di una vita dopo la morte e, quindi, dell'aldilà. Ma il nostro non può immaginare gli effetti della sua scoperta sulla società: infatti, dopo la sconcertante rivelazione, inizia una sempre crescente tendenza al suicidio da parte di individui che, certi di raggiungere una vita migliore, scelgono di porre fine con le loro stesse mani alla propria desolante quotidianità. Sconvolto dagli accadimenti lo scienziato si ritira su un'isola appartata per continuare i suoi esperimenti insieme ad una piccola comunità di fedeli sostenitori, che somiglia sempre di più a una setta di adoratori. Il suo figlio maggiore, Will, notoriamente scettico, decide di raggiungere il padre in cerca di risposte sulla morte di sua madre e sul traghetto incontra l'affascinante e misteriosa Isla, una ragazza tormentata con tendenze suicide e una morbosa attrazione per l'ultraterreno. Evidentemente attratto dalla donna, Will cerca di aiutarla e si unisce insieme a lei al gruppo di devoti a suo padre. Dramma fantascientifico a basso budget ma dalle forti ambizioni tematiche di Charlie McDowell, appartenente a quel cinema indipendente americano in cui sono ormai riscontrabili la maggior parte dei prodotti sopra la media provenienti da oltre oceano. Autunnale, antitetico e dissonante rispetto alla rutilante spettacolarità della fantascienza mainstream, The discovery va evidentemente collocato nel filone dello sci-fi concettuale, con pochi effetti speciali, che aspira alla sostanza piuttosto che alla forma e che si pone obiettivi filosofici esistenziali più che di leggero intrattenimento per famiglie. La scelta di un cast non di poco conto (con il vecchio divo Robert Redford e la brava Rooney Mara al fianco di Jason Segel) e l'indubbia componente sentimentale su cui si fonda buona parte della vicenda (la storia d'amore tra Isla e Will rappresenta il cuore pulsante dell'opera) non vanno letti come un tentativo di fornire appeal commerciale alla pellicola, ma come integrazione (invero non perfettamente riuscita) di un'idea forte che sta alla base del progetto e che ne costituisce il motivo di maggior fascinazione. Senza svelare troppi particolari ulteriori sulla trama, per non rovinare la sorpresa allo spettatore, ci limitiamo a dire che il film di McDowell cerca di dare una "risposta", non esaustiva, non religiosa, non sovrannaturale ma, piuttosto, fantascientifica e profondamente umana, alla più grande domanda che da sempre affligge l'uomo: che cosa ci attende dopo la morte ? La risoluzione intimistica, sussurrata, forse inaspettata anche se non propriamente originale, non manca di incisività ma lascia una sensazione a metà strada tra lo smarrimento e l'indignazione. A volte, come in questo caso, l'idea iniziale vale ben più della sua realizzazione pratica, perchè l'inconoscibile e l'ineffabile hanno maggiore possanza se vengono suggeriti, piuttosto che "spiegati".

Voto:
voto: 3/5

Lupo solitario (The Indian Runner, 1991) di Sean Penn

Joe e Frank Roberts sono due fratelli del Nebraska legati da un antico e sincero affetto ma profondamente diversi tra loro. Joe è un uomo tranquillo e per bene, felicemente sposato con una avvenente messicana da cui ha avuto uno splendido bambino, diventato capo della polizia della sua cittadina dopo aver abbandonato, suo malgrado, il sogno di fare l'agricoltore nella vecchia fattoria di famiglia, espropriata dal governo. Frank è un ribelle inquieto, violento e votato all'autodistruzione, incapace di condurre una vita regolare e con una propensione naturale a mettersi nei guai, in pessimi rapporti con i genitori che non ne hanno mai tollerato la turbolenza. Dopo il ritorno di Frank dalla guerra in Vietnam, Joe cerca in tutti i modi di ricostruire un rapporto con lui e di guidarlo sulla retta via, dimostrandosi sempre amorevole, tollerante e prodigo di buoni consigli verso lo scapestrato fratello. Quando Frank allaccia una relazione stabile con la bella Dorothy e, dopo averla messa incinta, si decide a trovare un lavoro onesto come carpentiere, Joe crede di avere finalmente raggiunto il suo obiettivo. Ma i demoni interiori e le cattive abitudini sono sempre in agguato. L'esordio registico dell'attore Sean Penn è un crudo dramma familiare, teso e puro, fieramente indipendente per concezione e realizzazione, e fortemente ambizioso nella sua natura di parabola antropologica che mette in scena il conflitto tra il lato oscuro della natura umana e la forza dei legami di sangue. Ed è proprio il sangue un elemento pregnante della pellicola, sempre presente con evidenti allusioni simboliche nelle scene cruciali che oscillano tra la ricerca esasperata di un brutale effettismo e la tensione introspettiva dell'apologo morale. Tra echi biblici (Caino e Abele) e suggestioni ancestrali di natura epica (il racconto metaforico sui nativi americani che contiene il senso intimo dell'opera e che si collega perfettamente al titolo originale, totalmente stravolto e banalizzato da quello italiano), il film procede pedissequamente come adattamento fedele del testo del brano "Highway Patrolman" (1982) di Bruce Springsteen, rivelando (già solo per questo) l'approccio originale e autoriale di Penn regista. Ma non tutto funziona perfettamente: la pellicola è talvolta squilibrata, sicuramente troppo lunga, qua e là eccessiva nelle soluzioni visive e, nell'ottimo cast, appare francamente discutibile la presenza di Valeria Golino nel ruolo di una messicana (con gli occhi verdi!). Molto bravi invece i due attori protagonisti (David Morse e Viggo Mortensen all'apice del suo fascino "maledetto", che non manca di regalarci l'ennesima scena di nudo integrale della sua carriera da anticonformista) e anche il resto del cast è da elogiare: da Patricia Arquette al carismatico Dennis Hopper, passando per un insolito, intenso e commovente Charles Bronson alla sua penultima apparizione sul grande schermo. In questo aspro ritratto della provincia americana, sanguigno, manicheo e potente nel suo ineluttabile incedere drammatico, Penn regista dimostra di possedere talento, ambizione ed un teatrale senso tragico da affinare (e asciugare) con la composta saggezza che solo l'esperienza sa donare. In ogni caso l'esordio è promettente e degno di attenzione. Alla sua uscita il film è passato totalmente in sordina, ma non ha mancato di suscitare polemiche per alcune scene di forte impatto come quella del parto naturale mostrato con dovizia di particolari.

Voto:
voto: 3,5/5

Amsterdamned (Amsterdamned, 1988) di Dick Maas

Ad Amsterdam un subacqueo assassino che si aggira sul fondo dei canali ed emerge per uccidere i malcapitati di turno in modo efferato, semina il terrore tra gli abitanti e mette in imbarazzo le autorità competenti che non riescono a fermarlo. Un tenace poliziotto ed un'avvenente bionda appassionata di immersioni si mettono sulle sue tracce nel tentativo di svelarne l'identità. Ma non sarà facile. Il terzo lungometraggio dell'olandese Dick Maas, divenuto celebre negli anni '80 presso gli appassionati di horror grazie al piccolo cult L'ascensore, è un thriller acquatico suggestivo nelle ambientazioni, visivamente affascinante ed esteticamente ricercato. Debitore in parecchie sequenze dei gialli italiani alla Dario Argento degli anni '70, nonché del celeberrimo Lo squalo di Steven Spielberg più volte omaggiato, è un inquietante poliziesco d'azione che stinge nell'horror, poco credibile nell'assunto e nello sviluppo narrativo, qua e là ingenuo nelle situazioni, a volte imbarazzante nel tentativo di stemperare la tensione con siparietti comici, ma si fa apprezzare per la pregevole confezione formale, per l'audacia tecnica di numerose riprese che ci regalano la splendida visione di una Amsterdam "da cartolina" e per due sequenze memorabili che valgono, da sole, il prezzo del biglietto: l'angosciante prologo notturno che ci mostra la vita "peccaminosa" dei famosi quartieri proibiti della capitale olandese dal punto di vista acquatico del sub killer e lo spericolato inseguimento in motoscafo lungo i canali degno della saga di James Bond. Consigliabile ai cultori dei thriller anni '80, è poco conosciuto nel nostro paese, pur essendo la pellicola più riuscita dell'autore, già solo per la particolarità di concezione e realizzazione. Il protagonista è il solito fedelissimo Huub Stapel, attore "feticcio" del regista.

Voto:
voto: 3/5