martedì 25 febbraio 2014

12 anni schiavo (12 years a slave, 2013) di Steve McQueen

Dopo l'intenso Hunger e lo scandaloso Shame, McQueen firma il suo progetto più ambizioso, cimentandosi con un doloroso dramma storico, tratto da una storia vera ed inerente ad uno dei due grandi "peccati originali" della storia americana: lo schiavismo (l'altro è lo sterminio dei nativi). Il risultato è un affresco personale crudele, agghiacciante, quasi insostenibile nelle scene più violente, ma mai compiaciuto, mai gratuitamente enfatizzato anzi a volte "mitigato" dallo stile ricercato del regista che, ancora una volta, si dimostra bravissimo nella composizione delle immagini e nella ricerca dell'inquadratura che tracci un punto di vista personale e diverso. Un po' ingabbiato dagli schemi hollywoodiani che un progetto di tale portata comporta, McQueen fa il suo film più classico ma non raggiunge mai il vigore espressivo e l'indignazione rabbiosa di Hunger, che resta la sua opera migliore. Ancora una volta è il corpo umano, vilipeso, maltrattato, il territorio primario dell'esplorazione del regista inglese e, ancora una volta, non ci vengono risparmiate scene di incredibile violenza attraverso la sua tecnica preferita: il piano sequenza insistito. Quello che però manca è la capacità di elevarsi oltre l'accumulo di orrori per sublimare i tragici eventi verso un punto di vista più alto e distaccato, necessario per trasformare una drammatica requisitoria in lucida critica storica, che sappia riflettere sugli errori del passato e sulle cause che li generarono. Nel cast spiccano un feroce Fassbender (attore feticcio del regista) ed una sorprendente Lupita Nyong'o, favorita numero uno per l'Oscar di attrice non protagonista. Un po' posticcio ed ingombrante il cameo di Pitt nel ruolo di un liberale abolizionista canadese.

Voto:
voto: 3,5/5

Nebraska (Nebraska, 2013) di Alexander Payne

Road movie lento e malinconico, come il suo straordinario protagonista, che procede sul filo ambivalente di chiaro e scuro, commedia e dramma, gentilezza e cinismo. Il verista Alexander Payne, da sempre interessato alle relazioni umane, realizza il suo film migliore, con stile rigoroso ed asciuttezza dei toni, pur senza rinunciare a meravigliosi lampi di sincera umanità che si esplicano ora nei momenti "comici" ora in quelli accorati. Il viaggio attraverso la provincia americana, immensa e desolata, diviene, come al solito, metafora di un sincero percorso interiore per inseguire un sogno e rinsaldare il rapporto tra un padre, vecchio e svagato, ed un figlio, premuroso e gentile. Il tuffo nei ricordi sarà doloroso nel mettere a nudo rimpianti, fallimenti e la squallida realtà di una famiglia di miserabili opportunisti, ma la luce del film è tutta nella magia di quel rapporto, padre-figlio, compassionevole ed autentico, che si rafforza a mano a mano che il sogno del vecchio svanisce. Bravissimi gli attori (Bruce Dern, June Squibb, Will Forte) nel tratteggiare personaggi fragili, smarriti, sinceri, ora detestabili ora toccanti, ma sempre efficacemente misurati e in armonia col tono del film. Senza mai eccedere o deviare nel sentimentalismo, Payne ci abbaglia col bianco e nero di questa "favola" gentile che percorre sentieri romiti e trova il suo pieno compimento nella sequenza finale, sul furgone, in cui il giovane figlio "si abbassa", guardando il vecchio padre da un punto di vista dimenticato, dal basso, con lo sguardo incantato del bambino che vede nel genitore un gigante, un eroe, un modello, grazie a cui interrogarsi sul proprio cammino. Bello, garbato, toccante, da vedere.

Voto:
voto: 4/5

I segreti di Osage County (August: Osage County, 2013) di John Wells

Film d'attori (anzi d'attrici), sotto forma di psico-dramma familiare, di incredibile perfidia e d'impianto teatrale. E', quindi, un film molto parlato, con dialoghi taglienti e cattivi che mira a distruggere l'istituzione familiare: una sorta di "Parenti serpenti" trasposto nelle immense pianure dell'Oklahoma, con una serie di colpi di scena non proprio imprevedibili. Notevole il contrasto tra la solarità delle ambientazioni esterne e la tetra oscurità della casa, che si sovrappone all'anima nera di quasi tutti i personaggi. Il ruolo della Streep, brava ma un po' troppo leziosa, è sicuramente quello più difficile e con maggiori rischi di scivolamento nella macchietta per i toni estremi del personaggio: una madre malata, rancorosa, arida, in bilico costante tra l'ignobile e l'infantile. Meglio la Roberts, nel ruolo della figlia maggiore, disillusa, ferita e dal cuore indurito dalle vicende familiari, che ci offre una performance di grande maturità espressiva. E' un film tetro dove i deboli soccombono e i miserabili restano da soli ed in cui, paradossalmente, lo slancio più "vitale" è quello del capofamiglia, nostalgico poeta, che si attua in un gesto di morte. Opera non banale, inquietante ma freddamente accademica.

Voto:
voto: 3,5/5

Dallas Buyers Club (Dallas Buyers Club, 2013) di Jean-Marc Vallée

Dramma biografico che tratta con maturità e distacco temi scottanti e sempre attuali: la malattia (l'AIDS), le discriminazioni, le ingiustizie sociali e lo strapotere "mafioso" delle grandi case farmaceutiche che mirano al proprio interesse economico più che alla salute pubblica. Tutte cose già viste ma il merito del film è quello di evitare i facili moralismi, la tentazione del sentimentalismo e la consueta retorica americana sul "cattivo" che abbraccia, suo malgrado, un percorso di espiazione finendo per redimersi. Questi rischi vengono, in buona parte, evitati grazie a dei personaggi ruvidi, detestabili, deboli e profondamente veri. E', essenzialmente, un film d'attori: bravo Matthew McConaughey nel ruolo dello spregevole protagonista, encomiabile per il grande impegno fisico profuso (un dimagrimento di oltre 20 chili) e per una prestazione di evidente partecipazione emotiva. Ma è addirittura straordinario Jared Leto, nei panni del travestito Rayon, che ci offre una performance incredibilmente variegata ed intensa per sguardi, atteggiamenti, cambi d'umore, alternando momenti intimisti ad altri sopra le righe: praticamente l'Oscar di non protagonista è già suo di diritto. E' anche un film "furbo" perchè è evidente la sua progettazione con intento "acchiappa-premi" ma resta, senza dubbio, ben sopra la media, credibile e toccante.

Voto:
voto: 3,5/5

Blue Jasmine (Blue Jasmine, 2013) di Woody Allen

Allen ritorna alla "cattiveria" ed al rigore di Match Point e confeziona un film "simile", per tragicità, ma, probabilmente, ancora più spietato. I temi ed i tratti sono quelli tipici del grande regista americano: persone allo sbando, coppie che "scoppiano", tradimenti, nevrosi, disagio nei rapporti umani ma con l'aggiunta di un elemento sociale di grande risalto contemporaneo, la crisi economica americana (e mondiale) di cui il personaggo di Jasmine rappresenta l'emblema. Il film poggia interamente sulle spalle della bravissima Cate Blanchett (premiata con l'Oscar) che dà corpo e anima ad un personaggio femminile scomodo e scritto egregiamente: sgradevole, viziata, elegante, depressa, fragile, odiosa, una summa di tante precedenti figure femminile alleniane. Jasmine è un po' il simbolo della catastrofe economica mondiale, ne incarna perfettamente il disvalore e l'assoluto senso di vuoto morale (altro tipico cavallo di battaglia alleniano). Peccato che gli altri personaggi del film non siano all'altezza ma siano ridotti a macchiette volte a mettere in maggior risalto le caratteristiche della protagonista. Un film tragico e maturo che dimostra che il vecchio Woody ha ancora qualcosa da dire, specie se rinuncia a comparire davanti alla mdp. E' il suo miglior film del nuovo millennio dopo Match Point.


Voto:
voto: 4/5

Bastardi senza gloria (Inglourious Basterds, 2009) di Quentin Tarantino

Nella Francia occupata dai nazisti Shosanna, giovane donna ebrea, è l'unica superstite al massacro della sua famiglia, compiuto dal famigerato colonnello delle SS Hans Landa, tristemente noto come "cacciatore di ebrei". La ragazza si rifugia a Parigi dove cambia identità e diventa proprietaria di un cinema, in attesa di compiere la sua vendetta. La sua storia si intreccia con quella dei "bastardi", un manipolo di ebrei americani in divisa, guidati dal tenente Aldo Raine, che agiscono clandestinamente dietro le linee alleate, uccidendo nazisti nei modi più efferati. Può il Cinema cambiare la Storia ? se il regista si chiama Tarantino, si! Il grande regista americano realizza un altro capolavoro con questo enorme omaggio al Cinema (a tutto il cinema! non solo quello di genere) ed alla sua magia, e lo fa attraverso i suoi canoni tipici: citazionismo colto, sequenze straordinarie, dialoghi fulminanti, personaggi memorabili, cast ispiratissimo, estetica sontuosa, mirabolante scelta delle inquadrature, delle musiche, delle situazioni. Una grande avventura anti-storica ed iper-realista che gioca con i generi per nobilatarli e sublimarli, con la consueta impagabile bricconeria, nell'apoteosi finale che celebra la forza del Cinema sopra ogni cosa. E Tarantino è uno che di cinema ne sa tanto e lo sa fare alla grande, e ce lo dimostra, qualora ce ne fosse ancora bisogno, nella stupefacente sequenza nella cabina di proiezione tra Shosanna (Mélanie Laurent) e Zoller (Daniel Brühl) che è puro, altissimo Cinema. Solita menzione speciale per tutto il cast (Christoph Waltz, Brad Pitt, Mélanie Laurent, Diane Kruger, Micheal Fassbender) notevolmente ispirato, a conferma di un altro indubbio talento del regista del Tennessee: la capacità di dirigere gli attori riuscendo sempre a trarre il meglio da ognuno di essi. Come viene detto dal protagonista nel rutilante finale: "Questo sarà il suo capolavoro ?". Fidatevi del tenente Aldo Raine!

Voto:
voto: 4,5/5

Lady vendetta (Chinjeolhan geumjassi, 2005) di Park Chan-Wook

Complice del sequestro di un minore, Lee Geum-ja, viene incastrata e condannata a 13 anni per l'omicidio del rapito, di cui però non ha colpa. Il lungo periodo di carcerazione la cambierà profondamente, indurendone cuore e corpo. Alla fine della pena la donna si dedicherà, con meticolosa ossessione ed empia violenza, a una sanguinosa vendetta nei confronti di coloro che l'hanno ingiustamente accusata. Questo terzo ed ultimo capitolo della trilogia della vendetta di Park Chan-wook, la declina al femminile in un film ricercato, visionario e di incredibile intensità espressiva. L'estroso regista coreano mischia le carte (quelle dei titoli di testa) e i temi, in un mix di generi e di toni che si mantengono sempre sul filo dell'esondazione. Dei tre capitoli succitati è quello più esile nel plot ma il più stupefacente dal punto di vista estetico grazie all'elegante sperimentazione visiva. Tra inserti surreali, derive kitsch, sequenze splatter e momenti grotteschi, l'estetica radicale e feroce dell'autore si esalta in un lungo flusso di immagini stranianti, non prive di ipnotica suggestione visionaria. Perfetta Lee Young-ae nel ruolo di un dolente angelo della morte che cerca la propria espiazione nella vendetta.

Voto:
voto: 3,5/5

Hard Candy (Hard Candy, 2005) di David Slade

Un fotografo trentenne incontra una quattordicenne di nome Hayley dopo una lunga frequentazione in una chat di internet. Dopo alcuni convenevoli tra i due scatta presto la medesima intesa che li aveva portati a conoscersi dopo gli "incontri" virtuali. Hayley, che nonostante l'età appare assai sveglia e pronta nelle risposte, decide di seguire l'uomo nel suo appartamento per dare seguito alla conversazione e approfondire la conoscenza. Sarà l'inizio di un incubo. Splendido thriller "da camera", incredibilmente passato in sordina, che ribalta la più celebre ed antica favola per disegnare un perfetto meccanismo di tensione psicologica in cui tutto è suggerito e nulla è mostrato. Teso e tagliente, interamente girato in un unico ambiente interno (freddo quanto colorato), con un continuo uso di primi piani espressivi e dialoghi serrati, è un modello esemplare di costruzione della suspense attraverso la forza dei contenuti e la straordinaria interpretazione degli attori: davvero arduo stabilire chi sia più bravo tra Ellen Page e Patrick Wilson. Nel finale è richiesta una certa sospensione dell'incredulità ma è un peccato veniale rispetto ai tanti meriti del film. Nel gergo di internet l'espressione "hard candy" allude a una ragazza minorenne dall'aspetto piacente. Mai uscito al cinema nel nostro paese, è però disponibile in versione home video. Da non perdere.

Voto:
voto: 4/5

Munich (Munich, 2005) di Steven Spielberg

Eccellente biografia "in nero" di uno dei periodi più oscuri della recente storia europea: la strage di atleti israeliani compiuta da terroristi palestinesi durante le Olimpiadi di Monaco '72 e la successiva efferata azione di vendetta eseguita "chirurgicamente" da agenti ombra del Mossad. Film difficile e "pericoloso", perchè affronta una questione annosa (il conflitto tra Israele e Palestina), sempre pronta ad esplodere e da cui deriva una larga parte della violenza sociale contemporanea (emblematica e molto spielberghiana, in tal senso, l'inquadratura finale sulle torri gemelle di New York City). Spielberg svolge il compito con estremo rigore, cercando di raccontare i fatti senza compiacimenti o spettacolarizzazioni, e, soprattutto, senza parteggiare per l'una o l'altra parte, attraverso personaggi ambigui, tormentati e sfaccettati. Missione, in buona parte, compiuta nonostante qualche immancabile scivolone nella retorica, per un film maturo, denso, sentito e con picchi di cinismo che lasciano atterriti. La brutale sequenza ambientata in Olanda è forse la più violenta in assoluto del cinema spielberghiano. Candidato a 5 premi Oscar, non ne vinse nessuno.

Voto:
voto: 4/5