lunedì 31 luglio 2023

Prima che sia notte (Before Night Falls, 2000) di Julian Schnabel

Reinaldo Arenas, cubano con un innato talento per la poesia dimostrato fin dalla tenera età, diventa scrittore e poeta affermato e vince il suo primo premio letterario a soli 20 anni. Inizialmente carico di speranze per la Rivoluzione comunista e l'avvento del regime di Fidel Castro, vede presto naufragare i suoi sogni politici e sociali quando, per le sue tendenze omosessuali, viene imprigionato e tutte le sue opere vengono bandite dal governo. Dopo diversi tentativi di fuga, sempre falliti, riesce ad approfittare, nel 1980, di una sorta di moratoria in cui Castro autorizza le persone "non gradite" al sistema (tra cui omosessuali, malati di mente ed ex galeotti) a lasciare il paese. Reinaldo arriva negli Stati Uniti dove vive da esule anti-castrista riprendendo la sua attività di scrittore, con cui combatte la sua personale battaglia contro il regime al potere nella sua isola natia. Ma ancora non sa che i guai, per lui, non sono affatto terminati. Il secondo lungometraggio del newyorkese Julian Schnabel è un accorato dramma biografico ispirato alla vera storia del poeta Reinaldo Arenas e liberamente tratto dal suo omonimo racconto autobiografico ("Antes que anochezca"), pubblicato nel 1992, in cui lo scrittore esiliato racconta la sua vita, i suoi sogni infranti, la sua delusione politica e la sua avversione per il regime castrista. Esattamente come il libro anche il film è narrato secondo la prospettiva del protagonista e tutto viene filtrato, emotivamente, attraverso i suoi occhi. Questo lo rende, automaticamente, un'opera a tesi e di parte, con una forte critica contro i sistemi autoritari, le mentalità intolleranti e le ideologie discriminatorie ed un accorato grido di libertà che celebra la dignità umana, il diritto di scegliere autonomamente la propria vita e la forza dell'arte come strumento di ribellione e di affermazione identitaria. Il tema dell'omosessualità viene trattato con soffice pudore, senza eccessi kitsch e colorite cadute nello stereotipo. Come al solito il regista utilizza qualche vezzo sperimentale, in questo caso il protagonista che talvolta guarda nella macchina da presa e si rivolge esplicitamente allo spettatore, confidando aneddoti sulla propria condizione disagiata di maschio gay in una società intollerante, rimarcando così la natura in soggettiva della pellicola e sconfinando quasi nel falso documentario. Il lato più debole è senza dubbio quello politico, affrontato in maniera troppo convenzionale e frammentario, con qualche indulgenza di troppo nel didascalico. Di grande livello il cast, con tanti grandi attori famosi come Javier Bardem (magnifico protagonista), Sean Penn, Diego Luna, Johnny Depp, Lia Chapman, Jerzy Skolimowski, Olivier Martinez e John Ortiz (con alcuni di questi appena limitati a piccole apparizioni). Il film è stato molto apprezzato dalla critica, ma meno dal pubblico ed ha ottenuto diversi riconoscimenti: quattro premi al Festival di Venezia (tra cui il Gran Premio della Giuria per Schnabel e la Coppa Volpi al miglior attore per Bardem) e la candidatura all'Oscar come miglior protagonista, sempre per il talentuoso interprete spagnolo.

Voto:
voto: 3,5/5

I guappi (1974) di Pasquale Squitieri

Nella Napoli post risorgimentale di fine '800, lo scugnizzo Nicola, trovatello cresciuto per strada senza famiglia, finisce in riformatorio, dove inizia a leggere e studiare con il sogno di diventare avvocato e tenersi lontano dai guai. Una volta uscito si scontra con Don Gaetano, il "guappo" del quartiere a cui tutti soggiacciono per timore o per riverenza. Dopo le iniziali incomprensioni, il criminale lo prende in simpatia, ne apprezza la lealtà e l'ambizione e lo accoglie sotto la sua protezione, presentandolo ai boss della Camorra cittadina. Pur di poter continuare i suoi studi universitari in legge, Nicola è costretto ad affiliarsi all'antica associazione mafiosa, divenendone un membro a tutti gli effetti. Laureatosi da avvocato, si trova a dover difendere proprio il suo mentore, incastrato da un viscido poliziotto corrotto che ne ha stuprato la donna e lo ha fatto cadere in una trappola. Il talento di Nicola in aula di tribunale riesce a far assolvere Don Gaetano con formula piena, con grande soddisfazione di entrambi. Ma ben presto, le dure regole del crimine, che non ammettono errori o compromessi, finiranno per metterli di nuovo l'uno contro l'altro e Don Gaetano dovrà fare una terribile scelta. Crudo e vigoroso melodramma criminale di Pasquale Squitieri, scritto dal regista insieme ad Ugo Pirro, e interpretato da un cast notevole con attori come Claudia Cardinale, Franco Nero e Fabio Testi nei tre ruoli principali. Forte di un verismo truce, di una ricostruzione storica sontuosa che richiama le origini della Camorra, di inserti folcloristici che offrono una preziosa fotografia del meridione post unitario, di ammiccamenti alla sceneggiata napoletana, di un cupo senso di fatalismo tragico che aleggia su tutte le sequenze e di egregie performance attoriali (con la Cardinale e Nero una spanna su tutti gli altri), questo noir popolare partenopeo vale sia come affresco d'epoca, sia come libello sociale e sia come colorito feuilleton. Nel finale il film tende a perdere integrità e si concede qualche enfasi retorica, ma, nel complesso, resta una delle opere più riuscite, emblematiche e corpose del regista. Proprio sul set di questa pellicola ebbe inizio la lunga collaborazione professionale e relazione sentimentale (da cui nacque anche una figlia) tra Squitieri e la Cardinale.

Voto:
voto: 3,5/5

È una sporca faccenda, tenente Parker! (McQ, 1974) di John Sturges

Il tenente Lou Parker (in originale Lon McHugh, da cui il titolo McQ nell'abbreviazione inglese) è un detective della polizia di Seattle dai modi rudi, che risponde alla violenza con la violenza infischiandosene delle regole e dei limiti imposti dal suo dipartimento. La sua efficacia è pari solo al suo modo di operare, sbrigativo e manesco, e questo lo mette sistematicamente nei guai con i superiori che non riescono a domarne le intemperanze. Dopo l'ennesima lavata di testa e sospensione temporanea dal servizio, Parker si dimette, consegna il distintivo e continua ad indagare per conto proprio sulla morte di un collega (e vecchio amico), freddato a sangue freddo in una sparatoria. Il suo fiuto lo conduce subito sulla pista del traffico di stupefacenti e del boss cittadino Manny Santiago, a cui il nostro darà filo da torcere, utilizzando gli stessi metodi dei criminali a cui dà la caccia. Ma quello che scoprirà non gli piacerà affatto. Robusto poliziesco d'azione di John Sturges, con l'icona John Wayne protagonista assoluto e passato dagli scenari western a quelli metropolitani contemporanei, ma interpretando sempre lo stesso tipo di personaggio: duro, senza mezze misure e fedele alla regola dell'occhio per occhio. Dopo il grande successo mondiale di Dirty Harry (1971) di Don Siegel, la moda dei polizieschi cupi, amorali, violenti e giustizialisti imperversò per tutti gli anni '70, sbarcando prontamente anche in Italia con le immancabili imitazioni, che venivano accusate dalle critica di "pericolose" ideologie fasciste ma che riempivano puntualmente le sale e sbancavano i botteghini. E' evidente (e risaputo) che l'operazione commerciale si basava sulla semplice idea di passare dal western al poliziesco, modificando gli scenari e la collocazione temporale, ma mantenendone le stesse regole di base, con il duello e le sparatorie come inevitabile risoluzione di tutti i conflitti. Il genere trovò terreno fertile nel generale senso di scoramento che aleggiava in gran parte della popolazione di fronte alla crescente escalation del crimine, con conseguente mancanza di fiducia verso le forze di pubblica sicurezza e il desiderio, da molti auspicato, di una forma di "giustizia" sommaria e spietata. Questo film di Sturges rientra tranquillamente in questo filone, con un tentativo un po' maldestro di imitare la formula della pellicola di Don Siegel. Non va dimenticato che, inizialmente, proprio John Wayne era stato indicato come ideale interprete dell'ispettore Harry Callaghan, ma poi gli fu preferito il più giovane, prestante e lanciatissimo Clint Eastwood, che già era entrato nell'immaginario collettivo come ideale pistolero dopo i western girati con Sergio Leone, che lanciarono la sua carriera di attore. Senza girarci troppo intorno possiamo dire che McQ (il didascalico e fantasioso titolo italiano lasciamolo pure da parte) è un po' la brutta copia di Dirty Harry, con una storia convenzionale e dall'intreccio prevedibile ed un protagonista visibilmente invecchiato e stanco, soprattutto nelle scene d'azione prolungate. Va ricordato che Wayne, nonostante avesse ancora carisma da vendere con la sua espressione granitica, era ormai al tramonto della sua carriera e della sua vita, e la cosa è ben visibile nel film, lasciando anche un certo senso di malinconica amarezza. Da salvare ci sono le musiche di Elmer Bernstein, qualche buona sequenza action realizzata con indubbio mestiere e le prove del cast, specialmente per i ruoli "secondari", grazie ad interpreti come Eddie Albert, Diana Muldaur, Al Lettieri e Colleen Dewhurst. Nel 1975 Wayne tornerà ad interpretare un poliziesco, sulla falsa riga di questo: Ispettore Brannigan, la morte segue la tua ombra (Brannigan) diretto da Douglas Hickox e che sarà la penultima interpretazione della sua lunga carriera (con ben 169 titoli all'attivo!).

Voto:
voto: 2,5/5

Paradise (2023) di Boris Kunz , Tomas Jonsgården , Indre Juskute

In un futuro prossimo l'umanità ha definitivamente risolto il problema dell'emergenza climatica e gli anni di vita sono diventati valuta di scambio. Questo è stato reso possibile dalle rivoluzionarie scoperte di bioingegneria della scienziata Sophie Theissen, fondatrice e leader della potente azienda farmaceutica AEON, attraverso cui un soggetto può ricevere da un donatore compatibile a livello di DNA un certo numero di anni di vita, ringiovanendo di conseguenza all'istante, tramite una sorta di speciale "trasfusione" di liquidi biologici eseguita attraversi speciali macchinari. Ovviamente l'effetto prodotto sul donatore è quello inverso: un improvviso invecchiamento in proporzione agli anni donati. Il sistema di potere creato in questo modo dalla AEON fa si che i più poveri, in cambio di denaro liquido versato istantaneamente, vendano i loro anni di vita ai più ricchi che così si garantiscono una giovinezza imperitura. Max è un rampante impiegato della AEON che lavora procacciando nuovi clienti, ovvero convincendo (con denaro, promesse e rassicurazioni) i soggetti compatibili individuati a firmare il contratto di assenso alla donazione (il valore economico di 1 anno di vita è valutato all'incirca 65 mila euro). Il suo lavoro va alla grande, Max è il numero uno nel suo settore ed ha una vita invidiabile con la sua bella moglie Elena con cui sta progettando di avere un figlio. Ma di colpo tutto cambia in maniera tragica: un incidente imprevisto fa finire Max in rovina finanziaria, con un enorme debito da saldare in pochissimo tempo. E così l'uomo diventa, suo malgrado, vittima di quello stesso sistema di cui era parte attiva e fervido sostenitore. E le conseguenze sconvolgeranno la sua vita e quella di Elena in maniera impensabile. "Il tempo è denaro" recita un vecchio e famoso adagio, al quale non si presta mai la dovuta attenzione. E questo thriller cupo e teso di fantascienza distopica di produzione tedesca, che alterna efficacemente la pura azione al dramma psicologico, lo fa suo in pieno, rendendolo l'idea di base attorno a cui si sviluppa il racconto. Un modello teorico simile era già stato affrontato nel film In Time (2011) di Andrew Niccol, con protagonisti Justin Timberlake e Amanda Seyfried, ma in maniera più spettacolare, superficiale e retorica, secondo i tipici canoni hollywoodiani. Il film realizzato dal trio di registi Boris Kunz, Tomas Jonsgården e Indre Juskute, è invece un'opera più complessa e stratificata, dall'anima oscura e dalle atmosfere inquietanti, con una prima parte ottima nella preparazione della suspense e nella messa a punto del drammatico intreccio. La seconda metà della pellicola perde qualche colpo, talvolta inciampa in eccessi poco plausibili, altre volte tende ad una eccessiva semplificazione, ma riesce comunque a mantenere una tensione costante fino alla fine ed ha il coraggio di offrirci un epilogo tutt'altro che prevedibile, melenso o rassicurante, portando così a termine, in maniera secca e lucida, la sua perfida riflessione sulla natura umana e sul valore del tempo. Prodotto e distribuito dalla piattaforma Netflix, si avvale di un buon cast (Kostja Ullmann, Corinna Kirchhoff, Marlene Tanczik, Iris Berben, Lisa-Marie Koroll) e di suggestive ambientazioni: passando da una Berlino futuristica, algida e socialmente divisa ad una tetra Lituania, che appare come una infernale terra di nessuno, dopo il distacco dei paesi Baltici dall'Unione Europea, di cui si parla nel film.

Voto:
voto: 3,5/5

domenica 30 luglio 2023

Detective's Story (Harper, 1966) di Jack Smight

A Los Angeles il detective privato Lew Harper è un uomo complicato, disincantato, con una vita privata che va a rotoli e una carriera piena di intoppi. Ma ha un suo rigido codice morale che regola ogni sua azione e non molla mai la preda quando decide di accettare un caso. Una ricca milionaria, Elaine Sampson, lo ingaggia per ritrovare suo marito scomparso, con tutti gli indizi che fanno pensare ad un rapimento. Harper sente puzza di marcio e la sua indagine lo porterà a scoprire che Sampson è un uomo detestabile, odiato da tutti e che sono in molti ad avere validi motivi per eliminarlo. La sua ricerca lo porta nel sottobosco più infimo della metropoli californiana ed il nostro si metterà, da par suo, in un mare di guai. Fino al finale a sorpresa in cui giungerà alla verità. Questo noir californiano di Jack Smight è tratto dal romanzo "Bersaglio mobile" di Ross Macdonald del 1949, il primo di una serie di venti libri dedicati al detective Lew Archer (modellato ispirandosi ai più famosi Marlowe e Sam Spade), il cui cognome nel film venne cambiato in Harper per espressa volontà dell'attore protagonista Paul Newman. Detective's Story è un giallo con molti dialoghi e poca azione, in cui più che l'intreccio narrativo, contano le ambientazioni (magnifici i locali malfamati e i bassifondi pericolosi nella California della "controcultura") ed i personaggi, tra cui svetta Harper, interpretato da un magnifico Paul Newman, sgualcito, sornione e adorabile, senza il quale il film avrebbe perso gran parte del suo appeal. Non è un film particolarmente originale, né una pietra miliare nell'itinerario del noir, ma merita la visione per le atmosfere, per le svolte inattese, per la performance del protagonista e per la presenza nel cast di grandi nomi come Lauren Bacall (sempre magnetica), Julie Harris, Arthur Hill, Janet Leigh e Shelley Winters. Newman tornerà ad interpretare Harper nel sequel Detective Harper: acqua alla gola (The Drowning Pool, 1975) di Stuart Rosenberg, ugualmente interessante ma meno riuscito del primo capitolo.

Voto:
voto: 3,5/5

Chiedimi se sono felice (2000) di Aldo Baglio , Giacomo Poretti , Giovanni Storti , Massimo Venier

A Milano Aldo, Giovanni e Giacomo sono amici da una vita; sempliciotti, sfigati, non ne combinano una giusta, ma condividono la loro grande amicizia e il sogno nel cassetto di portare in scena un adattamento teatrale del "Cyrano de Bergerac". L'ingresso nelle loro vite di Marina, una hostess di cui Giovanni si innamora perdutamente, iniziando con lei una relazione molto seria, darà il via ad una lunga serie di equivoci, scherzi del destino e situazioni tentatrici che porterà il trio a litigare pesantemente, interrompendo bruscamente ogni rapporto. Dopo 3 anni un disperato Giacomo bussa alla porta di Giovanni per dirgli che Aldo, che dopo il litigio è tornato a Palermo (sua città di origine), è gravemente malato e rischia la vita. Il terzo lungometraggio per il cinema del trio di comici da tutti conosciuti come Aldo, Giovanni e Giacomo (passati con crescente successo dal cabaret, al teatro, alla televisione e infine al grande schermo) è stato il loro maggior successo commerciale (primo incasso assoluto in Italia nella stagione 2000-2001) ed è anche il loro film migliore. Scritto e diretto dal trio insieme al fidato Massimo Venier, Chiedimi se sono felice è una commedia sentimentale sull'amore e sull'amicizia, attraversata da una malinconica vena drammatica di scaltro mestiere, e capace di condensare nei 97' di durata il meglio della comicità surreale e stralunata dei tre comici, limitando al minimo le cadute di stile e gli eccessi buffoneschi e portando dolcemente per mano lo spettatore spingendolo a ridere, sorridere, riflettere e regalando anche un pizzico di commozione nel finale. E il tutto avviene senza troppi patetismi mielosi, ma con grazia, simpatia, la giusta intelligenza ed un pizzico di irriverenza. Molto si deve alla storia ben architettata, all'affiatamento dei tre protagonisti (a cui si affianca un cast di validi comprimari come Marina Massironi, Paola Cortellesi, Silvana Fallisi e Giuseppe Battiston) e anche alla bella colonna sonora, scritta per l'occasione dal cantautore Samuele Bersani, di cui alcuni brani diventarono delle hits dell'anno di uscita della pellicola. Il film fa segnare l'esordio cinematografico dei comici siciliani Ficarra e Picone, che qui appaiono in un piccolo ruolo nella parte finale.

Voto:
voto: 3/5

sabato 29 luglio 2023

L'ultimo buscadero (Junior Bonner, 1972) di Sam Peckinpah

Junior Bonner, figlio di un ex-campione di rodeo ormai anziano, prosegue la carriera del padre, in giro per l'Arizona e sempre in sella a tori imbizzarriti che cerca di domare con alterne fortune. Ma i tempi sono cambiati e l'America non sembra più essere un paese per vecchi cowboy dalla scorza dura e dalle poche illusioni. Ridotto in bolletta, Junior è tentato di seguire l'esempio del fratello, che ha fatto fortuna nel ramo delle speculazioni edilizie, ma il richiamo selvaggio dei rodei e la voglia di non arrendersi agli anni che passano sono troppo forti. Avendo soltanto suo padre dalla sua parte, il nostro decide di giocarsi tutto affrontando il terribile Sunshine: un toro indomabile sulla cui groppa nessun uomo è riuscito a resistere per più di otto secondi. Questo crepuscolare western moderno di Sam Peckinpah, scritto dal regista insieme a Jeb Rosebrook, è una lenta ballata elegiaca sulla fine del mito della vecchia frontiera, carica di toni nostalgici e di note malinconiche. L'azione e la violenza sono praticamente assenti e lo spirito del vecchio West rivive soltanto attraverso le ultime imprese di un campione di rodeo che non si rassegna al viale del tramonto. Nessuno meglio di Steve McQueen poteva interpretare questo cowboy disilluso e granitico, depositario di tutte le memorie, gli ardori, le contraddizioni e le sconfitte del vecchio West. Solo chi conosce poco (e male) Sam Peckinpah potrebbe dire che questa pellicola non contenga tutta l'essenza del suo cinema, quella più intima e sommessa. Tra inni al naturalismo, sguardo sincero sulla condizione umana ed elogio del riscatto della dignità, il film procede come un de profundis sull'illusione di una realtà ormai scomparsa da tempo, ma non senza momenti poetici. Alla sua uscita fu un flop assoluto, snobbato da pubblico e critica, probabilmente incapace di stare al passo di un regista così poliedrico e ambivalente, in grado di esprimersi, a distanza di un solo anno, in modi così diversi (si tenga conto che questo film è collocato, cronologicamente, tra Cane di pagliaGetaway!). Il tema, tipico dell'autore, dell'amicizia virile viene in questo caso sostituito, altrettanto degnamente, dal rapporto tra un padre e un figlio. Il cast è forte di interpreti di grande spessore che affiancano il divo McQueen, come Robert Preston, Ida Lupino, Ben Johnson e Barbara Leigh. Molto bella e calibrata la struggente colonna sonora di Jerry Fielding.

Voto:
voto: 3,5/5

L'armata delle tenebre (Army of Darkness, 1992) di Sam Raimi

Terzo e ultimo capitolo della trilogia horror de La casa (in originale The evil dead), iniziata da Sam Raimi nel 1981 con il mirabile primo episodio (un b-movie a basso budget che ha saputo lasciare un graffio potente sulla storia del genere horror per la sua squinternata commistione di splatter, ironia nera e grottesca violenza da fumetto) e poi proseguita nel 1897 con La casa 2 (Evil Dead II), ancora più effettistico del primo ma più incline alla parodia demenziale. In questo atto finale il regista americano ha ottenuto (per la prima volta nella sua carriera) un budget ben più elevato rispetto ai suoi standard dell'epoca, grazie alla coalizione produttiva tra la Universal Pictures ed il nostro Dino De Laurentiis, e il risultato è ampiamente visibile in termini di ambientazioni, scenografie ed effetti speciali, molto più curati e ambiziosi rispetto alle pellicole precedenti. Il protagonista è, ovviamente, sempre Ash (Bruce Campbell) che stavolta si ritrova nel Medioevo britannico, dopo essere stato risucchiato da un portale inter-dimensionale aperto dal famigerato libro infernale chiamato Necronomicon, che è stata la fonte di tutti i suoi guai. Ovviamente anche qui al nostro sgangherato eroe ne succederanno di ogni, perchè dovrà combattere, armato di fucile a doppietta e dell'immancabile motosega, contro terribili cavalieri, un suo doppio malefico ed un esercito di scheletri, allo scopo di rimettere le mani sul libro maledetto, la sua unica speranza di poter tornare al suo tempo. L'armata delle tenebre, diretto da Sam Raimi e da lui scritto insieme al fratello maggiore Ivan, è, probabilmente, il film più "folle" dell'autore che, in una continua alternanza tra genialità visionaria e kitsch spudorato, mette in piedi una stramba commistione di generi, mescolando horror, commedia, avventura, fantasy ed action, il tutto sorretto da una dissacrante vena ironica, a volte esilarante altre volte fuori misura. La pellicola ebbe diverse traversie produttive, soprattutto a causa di De Laurentiis che alla fine la spuntò ed ottenne un taglio di 15', un finale diverso da quello pensato da Raimi ed un montaggio alternativo per la sola edizione italiana. Al momento, tra le tante versioni circolanti (se ne contano almeno 4), quella completa è la Director's cut di 96', che è reperibile in DVD ed è quella voluta inizialmente dal regista (ma mai uscita nelle sale). Nonostante le critiche positive, che lodarono l'audacia, la sfrontatezza e la bizzarra originalità dell'opera, il pubblico non l'apprezzò particolarmente ed in molti rimasero spiazzati dal tono delirante e dalle ambientazioni fantasy, probabilmente aspettandosi un horror "puro" simile al capostipite. Gli incassi in sala furono i più bassi della trilogia, ma, di lì a poco, dopo l'uscita in home video, L'armata delle tenebre è diventato per molti un cult assoluto del genere. In ogni caso si consiglia a tutti, amanti o detrattori, di recuperare la versione integrale, prima di dare un giudizio definitivo. Da segnalare la presenza di Danny Elfman come compositore delle musiche (insieme a Joseph LoDuca) e di Bridget Fonda nel cast. Bruce Campbell, attore feticcio di Raimi, è tornato a interpretare Ash, a ben 23 anni di distanza, nella serie televisiva "Ash vs Evil Dead", andata in onda tra il  2015 e il 2018.

Voto:
voto: 3/5

Barbie (2023) di Greta Gerwig

Nell'universo fantastico e colorato di rosa fluo di Barbieland, tutti sono felici e la vita scorre perfetta e gioiosa, anche se le giornate sono tutte rigorosamente identiche tra loro. Qui vivono i personaggi creati dalla Mattel, con le Barbie che comandano e decidono le regole ed i Ken che stanno sulla spiaggia a lustrarsi il fisico palestrato, ma che sono felici solo se una delle Barbie gli rivolge lo sguardo. La Barbie stereotipo (ovvero la prima versione modello pin-up, quella che praticamente tutti conosciamo, alta, magra, bionda, sexy e con gli occhi azzurri) entra in crisi esistenziale perchè inizia a provare sentimenti negativi e dolorosi mai avvertiti prima e che si riflettono anche sul suo fisico (i piedi arcuati sulle punte diventano piatti). Il motivo è dovuto ad una bambina che sta giocando con lei nel mondo reale e che le sta trasferendo tutte le sue ansie. Per questo Barbie deve andare a Los Angeles per trovare la bambina e risolvere la situazione, prima che la crepa che si è aperta nella facciata dorata del suo mondo diventi una voragine. Di nascosto la segue anche Ken, innamorato e impacciato nonostante l'aspetto fisico da Adone che si ritrova, e i due si metteranno in molto guai, perchè il mondo degli umani è tutt'altro che perfetto e segue dinamiche completamente diverse. Ma alla fine, la contaminazione subita dal contatto con la realtà rischia di avere conseguenze ancora più gravi per Barbieland. Questa spiritosa favola rosa, ultra-pop e ultra-colorata, prodotta dalla Warner Bros. insieme alla Mattel, scritta da Greta Gerwig e Noah Baumbach e diretta con enfasi luccicante dalla Gerwig, è diventata, per tanti motivi, uno dei film più attesi della stagione, anticipato da una lunga serie di trailer e da una campagna pubblicitaria martellante che ha aumentato a dismisura la curiosità del pubblico. Bisogna riconoscere che il meccanismo ha funzionato alla perfezione, il film sta riscuotendo un enorme successo al botteghino (ben oltre le più "rosee" aspettative iniziali) e, probabilmente, supererà la fatidica soglia del miliardo di dollari di incasso e porterà a casa anche svariate candidature ai premi Oscar del 2024. Ma, come spesso accade in questi casi, il gioco non vale la candela perchè la pellicola non va oltre la favoletta commerciale infarcita di messaggi femministi, di retorica edificante e di politicamente corretto, conforme alla tendenza delle grandi produzioni hollywoodiane di oggi. D'altra parte già il solo fatto di vedere la Mattel attivamente coinvolta nel business produttivo non faceva ben sperare in merito. Quasi tutto si assesta sul superficiale e sul melenso, con sermoni buonisti che danno in pasto al pubblico proprio quello che, probabilmente, vuol sentirsi dire, per uscire dalla sala sorridenti e gioiosi (come una Barbie?). L'unica battuta tagliente, sincera e con un pizzico di perfidia viene fatta pronunciare a una ragazzina adolescente, che però poi, da ribelle incazzata si trasforma (di colpo) in una fans adorante dei bambolotti della Mattel (!). Passando alle cose positive, che comunque sono presenti, va ovviamente citato l'intero apparato tecnico visivo, con scenografie, costumi, coreografie dei balli e delle canzoni, che sono di pregevole fatture e di cartoonesco effetto. Il personaggio di Ken è stupido quanto divertente, a lui sono affidati tutti i momenti comici (alcuni anche esilaranti) ed a lui viene fatta pronunciare una delle sentenze più intelligenti del film ("sono un uomo senza potere: questo fa di me una donna?") ed è sempre lui il protagonista del momento musical più riuscito. E' fuori discussione che Ryan Gosling (Ken) rubi la scena a Margot Robbie (Barbie), troppo impostata in maniera teatrale per risultare empatica, e per questo sono in molti che già pronosticano (esagerando) una possibile nomination agli Oscar per lui. Sono altrettanto godibili i numerosi ammiccamenti e citazioni alla cultura pop, al mondo dei giocattoli (Mattel) ed a quello del cinema. Su tutti stravince il prologo che omaggia scherzosamente "L'alba dell'uomo" di 2001: Odissea nello Spazio (ma di cui, purtroppo, si erano già giocati l'effetto impattante, mostrandolo in anteprima nei trailer). Dopo Gosling anche America Ferrera offre una buona performance, così come Michael Cera (Allan), troppo emarginato in ruolo secondario. Il resto del ricchissimo cast è completato da Ariana Greenblatt, Will Ferrell, Helen Mirren (la voce narrante in lingua originale) e poi una pletora di attrici che interpretano le svariate versioni di Barbie, tra cui Issa Rae, Kate McKinnon, Alexandra Shipp, Emma Mackey, Sharon Rooney, Lucy Boynton e persino la cantante Dua Lipa. L'elogio femminista della normalità e della diversità (che è poi il messaggio principale della pellicola) viene sbandierato all'insegna del più ruffiano politicamente corretto. Come si usa fare a Hollywood di questi tempi e come la maggior parte del pubblico (probabilmente) vuole.

Voto:
voto: 2,5/5