lunedì 27 giugno 2022

Pleasure (2021) di Ninja Thyberg

La giovane Linnéa, bella biondina svedese di 19 anni, lascia la sua terra e parte alla volta di Los Angeles con l'intento di realizzare a tutti i costi il suo desiderio: diventare una pornostar di successo. Il suo impatto con l'industria americana dell'intrattenimento per adulti non sarà però come si aspettava e ciò metterà a dura prova la resilienza della ragazza: tra umiliazioni psico fisiche, cinica mercificazione del suo corpo, violenza morale, compromessi di ogni tipo, abusi resi "legittimi" da espliciti contratti di auto-accettazione, sadico cinismo e maschilismo imperante. In un mondo dominato dai maschi, in cui tutto è permesso in nome di profitto e voyeurismo, Linnéa dovrà decidere se accettare di prestarsi a prestazioni erotiche sempre più estreme e perverse, pur di entrare nella scuderia "privilegiata" di Mark Spiegler, il più potente e famoso agente di pornodive, colui che sembra possedere le chiavi del successo necessario a realizzare il grande sogno americano a cui la nostra ambisce. Ottimo esordio registico della svedese Ninja Thyberg, che ha scritto e diretto con brutale realismo questo piccolo grande film d'autore (mai distribuito e mai doppiato nel nostro paese), che ha ottenuto larghi elogi da parte della critica sia al Festival di Cannes (dove è stato presentato in anteprima) sia al Sundance Film Festival. Interpretato con efficacia da un'altra esordiente, la 24-enne Sofia Kappel, splendida attrice di Stoccolma calatasi con sorprendente mimesi nel difficile ruolo della protagonista Linnéa, Pleasure è uno spietato ritratto, sincero, a tratti disturbante e del tutto privo di fronzoli o di abbellimenti, della milionaria industria della pornografia americana, un mondo sotterraneo regolato da leggi feroci e rigorosamente nelle mani di una "oligarchia" maschile, che impone la propria visione della donna come oggetto sessuale regalando al (numeroso) pubblico esattamente quello che desidera guardare (anzi spiare), protetto dall'ipocrita anonimato di un ideale "buco della serratura", oggi incarnato dai diffusi mezzi tecnologici. Al netto di facili moralismi (che il film evita saggiamente di fare) e di patetici predicozzi perbenisti, è arcinoto che il settore della pornografia sia (da sempre) un business molto redditizio grazie alla "complicità" della maggior parte del pubblico di utenti (generalmente maschi occidentali) a cui si rivolge. Si potrebbe anche dire che questa pellicola di aspra denuncia finisca essenzialmente per scoprire "l'acqua calda", perchè è evidente a chiunque possegga un minimo di raziocinio e di cultura che la "recitazione" da parte delle pornodive, pur dietro legittimo consenso ed in cambio di lauti compensi economici, sia una sorta di sfruttamento della "prostituzione" in nome di libero arbitrio, libidine voyeuristica e leggi del business. Ma è altresì del tutto scorretto interpretare questo film (che pure ci offre una sgradevole lettura a base di esplicito realismo del mondo del porno visto dall'interno, attraverso lo sguardo femminile di Linnéa) unicamente come esplorazione dal fine accusatorio dello spietato sistema di affari che sorregge lo showbiz a luci rosse. Quest'opera scomoda, sincera e tagliente è piuttosto una potente allegoria sul lato oscuro e sulle molteplici contraddizioni "immorali" del capitalismo occidentale e del così detto "Sogno Americano" in particolare: intrinsecamente rapace, eticamente ingiusto, ferocemente avido e concettualmente edificato, per la sua stessa intima natura, sulla prevaricazione di uomini a danno di altri uomini. Trattasi, dunque, in nuce ed in metafora, di un film politico che si rivolge idealmente a (e contro) tutti: da chi decide, a chi opera, a chi guarda. L'estrema sincerità della regista si evince da come viene raccontato il rapporto di pseudo "sorellanza" che s'instaura tra le colleghe pornostar (che in teoria dovrebbero essere tutte dalla stessa parte della barricata), evitando così le trappole di un'interpretazione manichea e faziosamente schierata a 360° contro l'universo maschile ed in favore di quello femminile. Il porno è, evidentemente, un "sottobosco" estremo che non fa altro che enfatizzare ed inasprire modi di pensare, comportamenti e dinamiche tra i sessi che invero sussistono in qualunque contesto sociale, dal mondo del lavoro a quello familiare. E in questa selva di ingiustizie, violazioni, prevaricazioni e discriminazioni, è talvolta molto complesso riuscire a definire con nitidezza i ruoli o ripartire le colpe; perchè, spesso, le "vittime" finiscono per confondersi con i "colpevoli", prendendone le parti, assorbendone l'ideologia o cavalcandone la tossica aggressività. Il finale aperto, e tutto sommato indovinato, sembra lasciare una piccola luce di "speranza" in tanta greve cupezza, e per lo spettatore è una fugace boccata di ossigeno di cui, francamente, c'era bisogno. A parte la protagonista (Sofia Kappel), quasi tutti coloro che appaiono nel film sono veri attori o attrici dell'hardcore, o figure che operano a diversi livelli nel settore come il talent agent Mark Spiegler, nel ruolo di sè stesso.
 
Voto:
voto: 4/5

lunedì 20 giugno 2022

Case 39 (2009) di Christian Alvart

L'assistente sociale Emily Jenkins, single e totalmente dedita al suo delicato lavoro con i minori che vivono situazioni familiari difficili, viene assorbita, anche a livello emotivo personale, dal così detto "caso n. 39", che riguarda la piccola Lillith Sullivan, 10 anni, che soffre a causa di due genitori in apparenza psicotici. Nonostante la diffidenza del suo capo e di un suo fidato collaboratore che lavora nella polizia, Emily prende a cuore la situazione di Lillith, stringe con lei un sincero legame affettivo e riesce a salvarla in extremis da un brutale tentativo di omicidio da parte dei suoi. Grazie alla sua tenacia la donna ottiene l'affidamento temporaneo della bambina e l'accoglie in casa propria con grande entusiasmo. Ma quando strani fenomeni iniziano a susseguirsi, Emily si troverà di fronte ad un arduo dilemma e finirà per mettere in dubbio le sue certezze. Questo horror diretto dal tedesco Christian Alvart, che si avvale di un cast di tutto rispetto che annovera nomi come Renée Zellweger, Ian McShane e Bradley Cooper, è un film dai due volti, che nella prima metà si svolge come un classico dramma socio-familiare con venature da thriller, e poi, dopo la svolta rivelatrice che giunge più o meno a metà, diventa una pellicola di orrore soprannaturale, fortemente aderente ai più tipici canoni e cliché del genere. Senza dubbio la tranche iniziale è da preferire, se non altro per le atmosfere ambigue e minacciose che riesce ad evocare, ma poi tutto si disperde in un accumulo ripetitivo (e derivativo) di cose già viste, di cui lo spettatore smaliziato non farà fatica a prevedere l'evoluzione programmatica. L'unico indiscutibile punto di forza dell'opera (che poi è anche il solo vero motivo valido che ne può giustificare la visione) è la bravura della piccola coprotagonista, la canadese Jodelle Ferland, che mette in riga tutti gli altri membri del cast e ci regala una performance da brividi. Per evitare ogni possibile forma di spoiler sulla trama eviterò attentamente di citare le diverse "fonti di ispirazione" di questo film essenzialmente innocuo, a cui comunque gli spettatori non faticheranno poi troppo per arrivare. Da citare una sequenza di forte impatto che vede protagonista Bradley Cooper e che farà inorridire coloro che soffrono di "sfecsofobia".
 
Voto:
voto: 2,5/5

sabato 18 giugno 2022

Top Gun: Maverick (2022) di Joseph Kosinski

35 anni dopo gli eventi narrati in Top Gun (1986) di Tony Scott, Pete Mitchell, per tutti "Maverick", non è ancora andato in pensione, è diventato "solo" un capitano di vascello della Marina, continua a fregarsene di carriera, regole e ordini dei superiori, ma resta un asso insuperabile alla guida dei jet dell'aeronautica militare, motivo per il quale è divenuto leggendario. Impegnato come collaudatore di un velocissimo prototipo di aereo, viene richiamato in servizio nell'unità scelta chiamata "Top Gun", per addestrare un manipolo di giovani abilissimi piloti che devono eseguire una missione segreta ad altissimo rischio e con scarse probabilità di sopravvivenza: attaccare una base di uno "stato canaglia", dove si accumulano minacciose riserve di uranio, nascosta alla fine di uno stretto canyon naturale, protetta dal fianco di una impervia montagna e difesa da una impressionante serie di missili antiaerei. Nonostante lo scetticismo delle alte sfere e l'innata avversione di "Maverick" a rimanere nei ranghi degli ordini, il grande pilota scavezzacollo sorprenderà tutti nuovamente per la sua abilità, dovrà fare i conti con un doloroso passato mai rimosso e ritroverà sul suo cammino una vecchia conoscenza. Questo sequel inatteso (e da molti ritenuto fuori tempo massimo) del fenomeno generazionale degli anni '80, Top Gun, che per la sua furba miscela esplosiva di azione, romanticismo, avvenenza e testosterone riscosse un enorme successo soprattutto presso il pubblico dei giovani, ha visto la luce ben 10 anni dopo la morte del regista Tony Scott (a cui la pellicola è dedicata), diretto da Joseph Kosinski, prodotto e interpretato dal divo Tom Cruise, che a 60 anni suonati è ancora in forma smagliante per riprendere, con credibile effetto ed evidente entusiasmo, il ruolo dello spericolato "Maverick", che all'epoca lo lanciò definitivamente nell'Olimpo di Hollywood e nel cuore delle teenager. Dopo quasi 35 anni Tom Cruise è ormai una star potente, per molti controverso, per altri antipatico, ma indubbiamente capace di "ingannare il tempo", sfoggiare una forma fisica invidiabile, un appeal mai spento e, soprattutto, di sbancare i botteghini con quasi tutti i film in cui appare. Abbandonate ormai da tempo le ambizioni di sfondare anche nel cinema impegnato d'autore o di puntare ai premi cinematografici, Cruise si è donato anima e corpo al cinema d'azione, di cui è ormai diventato l'icona più popolare e chiacchierata, anche per i suoi vezzi e le sue imprese, che lo vedono impegnato in scene sempre più audaci, che il nostro pretende di girare personalmente e senza ausilio di controfigure. Il grande successo al botteghino ottenuto da questo sequel (da molti inatteso in codesta misura), consolida ulteriormente lo status (e l'ego) di Tom Cruise come stella (e "Re Mida") del blockbuster action made in Hollywood. Al di là delle diffuse antipatie verso il megalomane attore (da cui anche il sottoscritto non è affatto esente), bisogna riconoscere che la sua capacità di "rimanere giovane" e di conservare l'entusiasmo degli esordi ha quasi del miracoloso. E questo Top Gun del 2022, che è una vera e propria agiografia a tutto tondo di Cruise-Maverick, tronfia di retorica a stelle e strisce e sapientemente infarcita da una ruffiana carica di forte effetto nostalgia verso l'originale dell'86, non fa che rimarcare a fuoco questo concetto, già solo osservando gli effetti che il tempo ha lasciato su Val Kilmer (la cui voce è stata irrimediabilmente compromessa da un cancro alla gola) o su Kelly McGillis, che ha preferito rinunciare a riprendere il suo vecchio ruolo e che viene idealmente sostituita (come partner femminile) dalla sempre splendida Jennifer Connelly. E' onestamente difficile prendere sul serio un giocattolone auto-celebrativo di questo tipo, interamente prono al divismo di Cruise, ma, nel contempo, sarebbe scorretto tacerne la forte carica spettacolare, la bellezza adrenalinica delle sequenze aeree, il ritmo forsennato, la facile godibilità e l'altissimo livello dell'intero apparato tecnico (a cominciare da montaggio e sonoro). La sequenza più riuscita (e più attesa), anche questa ad altissimo effetto nostalgia, è l'incontro breve, intimo ed intenso, tra i due antichi rivali: "Maverick" e "Iceman". Il regista Joseph Kosinski, che pure ha dimostrato un grande talento visionario nello stupefacente Tron: Legacy (Tron, 2010), dirige con buona lena e senza strafare, quasi usando il "pilota automatico". Anch'egli, forse, "al servizio" della troppo ingombrante star Tom Cruise.

Voto:
voto: 2,5/5

Malignant (2021) di James Wan

La giovane Madison ha un passato oscuro legato alla sua traumatica infanzia, una sorella amorevole di nome Sydney, un marito balordo alcolizzato che la maltratta ed una serie di gravidanze fallite che non è mai riuscita a portare a termine. Quando inizia una catena di efferati omicidi commessi da un assassino misterioso e inafferrabile, Madison ha delle angoscianti visioni, incredibilmente realistiche, in cui "assiste" ai crimini del "mostro", al quale si sente psichicamente collegata. Così dai ricordi che ha faticosamente cercato di rimuovere, riemergono terribili immagini legate ad un ospedale psichiatrico ed a Gabriel, il suo amico immaginario dell'età infantile, che sembra essere proprio il killer sanguinario che terrorizza l'intera città. Mentre la polizia indaga e non crede alla sua incredibile storia, Madison diventa la sospettata numero uno dei delitti del "mostro". Ma chi è in realtà Gabriel? L'undicesimo lungometraggio del malese naturalizzato australiano James Wan, divenuto famoso per horror di grande successo popolare come Saw - L'enigmista (Saw, 2004) e L'evocazione - The Conjuring (The Conjuring, 2013), o per blockbuster hollywoodiani quali Fast & Furious 7 (Furious 7, 2015) e Aquaman (2018), è un horror raccapricciante che si colloca tra il thriller psicologico, gli slasher anni '80, il giallo di tensione ed i film di paura sui "mostri" che emergono dal buio. Nato da un'idea del regista e scritto da Akela Cooper, risulta molto efficace nella prima parte e riesce a sorprendere con discreta originalità e con inquietante spavento nel momento topico in cui si svela l'identità (e la natura) dell'assassino misterioso chiamato Gabriel. Ma poi, nel lungo segmento finale, la pellicola si sfilaccia, si ingolfa, deborda, assume connotati di maldestra esagerazione e finisce in pericoloso bilico tra lo splatter esagitato ed il ridicolo involontario. Contiene una lunga serie di citazioni al cinema di genere italiano degli anni '70 (Dario Argento, Mario Bava e relativi epigoni), agli psico-thriller di Brian De Palma e al body-horror di David Cronenberg, senza dimenticare il misconosciuto "B-movie" Basket Case (1982) di Frank Henenlotter, che è stato, probabilmente, la principale fonte di ispirazione. A parte il buon colpo di scena che idealmente "spezza" il film in due tronconi disomogenei, una sequenza particolarmente riuscita è quella dell'inseguimento notturno ambientato nella Seattle sotterranea, in cui il tempo sembra essersi fermato al XIX secolo. Nel cast appare a suo agio la protagonista Annabelle Wallis, in versione mora, mentre gli altri personaggi sono di mero contorno, a cominciare dall'improbabile strana coppia di sbirri.

Voto:
voto: 2,5/5

King Kong (1976) di John Guillermin

Una spedizione finanziata dalla compagnia petrolifera americana Petrox, parte dall'Indonesia alla ricerca di una fantomatica isola selvaggia dell'Oceano Indiano, perennemente nascosta da un fitto banco di nebbia. Il magnate della multinazionale è convinto che l'isola contenga un enorme giacimento di greggio da sfruttare a suo vantaggio. Sulla nave si aggiungono due imprevisti passeggeri: un paleontologo avventuriero dai nobili ideali, Jack Prescott, ed una bella naufraga di nome Dawn, sopravvissuta miracolosamente all'esplosione di uno yacht. Una volta giunti sull'isola misteriosa gli uomini troveranno incredibili sorprese a cui non erano preparati: una tribù di indigeni ostili che vivono nell'eterna paura del re incontrastato del luogo: un gigantesco gorilla chiamato Kong. I locali rapiscono Dawn per sacrificarla a Kong, sperando così di placarne le ire selvagge, ma il potere della bellezza femminile riuscirà, con effetti imprevisti e tragici, a soggiogare anche la ferocia ancestrale dello spaventoso gorilla. Questo remake "modernizzato" del grande classico della RKO, King Kong (1933) di Merian C. Cooper ed Ernest B. Schoedsack, pietra miliare del cinema fantastico capace di creare un'icona senza tempo, rileggendo in chiave fantasy avventurosa il mito de "la bella e la bestia", è una grande macchina spettacolare prodotta (e fortemente voluta) dal nostro Dino De Laurentiis, scritto da Lorenzo Semple Jr. e diretto con mano sicura dall'inglese John Guillermin, a suo agio con le mega produzioni di genere catastrofico. Possiede tutti i limiti di un prodotto hollywoodiano concepito per il successo commerciale (che difatti ottenne in grande misura), sposta l'azione dal tempo della Grande Depressione agli anni '70 (ovvero all'età contemporanea alla sua uscita), modifica tutti i nomi dei personaggi e parecchie situazioni (la più clamorosa è il "teatro" del leggendario epilogo newyorkese, con le Torri Gemelle che prendono il posto dell'Empire State Building, dove avviene lo scontro finale tra Kong e gli umani che lo hanno strappato dal suo regno per sfruttarlo come fenomeno da baraccone) e sostituisce la valenza onirica dell'impossibile attrazione erotica tra il gorilla e la ragazza con ammiccamenti ben più espliciti, ma inevitabilmente meno affascinanti. Resta comunque un "giocattolone" appassionante, divertente, ben oliato nelle svolte narrative e impreziosito dai magnifici effetti speciali animatronici creati dall'italiano Carlo Rambaldi (e premiati con un Oscar speciale, Special Achievement Award) e dalla presenza scenica di un giovane Jeff Bridges e della splendida esordiente Jessica Lange, bella da fare male (al gorilla ma non solo). Esiste anche una versione "integrale" del film, uscita in DVD negli anni '90, che contiene una lunga serie di scene eliminate dalla directors'cut. Nel 1986 John Guillermin ne ha anche diretto un seguito, King Kong 2 (King Kong Lives), inopportuno e scadente, con cui ha chiuso la sua carriera.
 
Voto:
voto: 3/5

venerdì 10 giugno 2022

Jurassic World - Il dominio (Jurassic World Dominion, 2022) di Colin Trevorrow

Sono trascorsi 4 anni dall'eruzione che ha distrutto Isla Nublar e i dinosauri, portati sul continente per essere formalmente salvati, si aggirano ormai indisturbati nel così detto mondo "civilizzato", convivendo difficoltosamente con gli umani e con le altre specie viventi, separate da queste da ben 65 milioni di anni di evoluzione. Malgrado uno sfruttamento indiscriminato da parte di loschi furfanti senza scrupoli, la potente multinazionale Biosyn ha creato per loro un rifugio naturale protetto sulle Dolomiti italiane, proseguendo la sperimentazione sulla clonazione genetica e sulla manipolazione del DNA, ufficialmente per scopi benefici. Percorrendo itinerari investigativi diversi, Owen Grady e Claire Dearing da un lato, ed il professor Alan Grant e la paleobotanica Ellie Sattler dall'altro, giungeranno nella sede della Biosyn, nutrendo forti sospetti sull'operato del suo capo supremo, il magnate multimilionario Lewis Dodgson. Qui ritroveranno una vecchia conoscenza, lo stravagante Ian Malcolm, ed una improbabile alleata, la pilota avventuriera Kayla Watts, convertitasi alla nobile causa ambientalista dopo un passato da mercenaria contrabbandiera. Tutto è pronto perchè avvenga il tanto atteso scontro finale tra l'uomo e la natura, in cui, ancora una volta, la vita troverà il modo di farsi strada. Il capitolo finale della nuova trilogia giurassica è un film d'azione pachidermico, artificioso, lungo, citazionista, furbescamente nostalgico nei suoi costanti ammiccamenti al primo episodio spielberghiano, concepito con enfasi magniloquente come chiosa di una grande avventura durata fin troppo, ma dal passo pesante e dal fiato corto. La reunion del cast nuovo e vecchio, con il ritorno fuori tempo massimo dei tre vecchi protagonisti del film del 1993 (Laura Dern, Sam Neill, Jeff Goldblum) è uno dei grandi problemi di questa pellicola stiracchiata, diretta con scarso nerbo dal redivivo Colin Trevorrow. I personaggi della Dern, di Neill e di Goldblum, appaiono posticci e patetici, scritti con la mano sinistra e interpretati con poca convinzione dai rispettivi attori. Non è un segreto che lo stesso Sam Neill abbia più volte dichiarato pubblicamente le sue remore sul ritorno al personaggio di Alan Grant, ed il suo impaccio recitativo risulta impietosamente evidente. Al di là di questo aspetto, il film viene schiacciato dallo stesso peso della sua ambizione e dalla voglia di far quadrare alla perfezione tutte le fila del discorso, nel suo groviglio di sottotrame affastellate alla rinfusa. Emerge a tratti anche una chiara sensazione di noia ed un fastidioso senso di ripetizione, in un copione che ormai abbiamo imparato tutti a memoria. Nessuna sorpresa, nessuno scatto, nessun momento capace di creare reale patos o stupore, ma tutto si svolge esattamente come previsto, in una progressione programmatica dal sapore edificante, come da (peggior) tradizione hollywoodiana. Da salvare unicamente la lunga sequenza di azione sull'isola di Malta, il solo momento in cui anche gli effetti speciali sempre più sofisticati risultano pienamente all'altezza. La magia, il brivido, l'attesa stuzzicante e la suspense tagliente presenti nell'opera originale di Steven Spielberg sono ormai un lontanissimo ricordo e ci auguriamo che questa seconda trilogia ponga realmente la definitiva parola fine all'abusata epopea dei dinosauri. Persino il glorioso T-Rex, simbolo iconico, feroce e possente di questo universo di fanta-generica, avrebbe molto "da ridire" sul trattamento che gli viene riservato in questo film claudicante e vanamente pretenzioso.
 
Voto:
voto: 2/5

Jurassic World - Il regno distrutto (Jurassic World: Fallen Kingdom, 2018) di J.A. Bayona

Tre anni dopo i tragici eventi accaduti nel "Jurassic World", i dinosauri di Isla Nublar sono stati abbandonati al loro destino, Claire Dearing si è convertita alla nobile causa ambientalista, mentre Owen Grady si è ritirato in un eremo montano. L'anziano magnate in pensione Benjamin Lockwood, cofondatore del "Jurassic Park" insieme a John Hammond, convoca Claire nella sua imponente residenza per proporle di guidare una missione di salvataggio su Isla Nublar, dove la sopravvivenza delle creature preistoriche è messa in serio pericolo da una imminente eruzione vulcanica, che rischia di distruggere l'isola. Claire accetta di buon grado e riesce a convincere lo scontroso Owen a tornare in pista, facendo leva sul suo legame affettivo verso lo strabiliante Velociraptor chiamato "Blue". Ma, come al solito, non tutti i membri della spedizione hanno intenzioni magnanime e la cupidigia dell'essere umano si rivelerà, ancora una volta, il nemico più pericoloso. Dopo l'enorme, e per molti versi imprevedibile, successo commerciale di Jurassic World (2015) di Colin Trevorrow, era inevitabile che la Universal Pictures commissionasse a stretto giro un secondo capitolo della nuova saga (il quinto complessivo includendo anche i tre episodi di Jurassic Park), affidando la regia al catalano Juan Antonio Bayona e la sceneggiatura alla coppia Colin Trevorrow e Derek Connolly. Ovviamente c'è anche il ritorno del cast principale al completo (Chris Pratt, Bryce Dallas Howard), con l'aggiunta di Rafe Spall, Justice Smith, Daniella Pineda, James Cromwell, Toby Jones, Ted Levine, Geraldine Chaplin ed un piccolo cameo di Jeff Goldblum nei panni del bizzarro matematico Ian Malcolm. Ma, nonostante un enorme dispendio di effetti speciali (curati dalla ILM di George Lucas), una prima parte di grande spettacolarità catastrofica sull'esotica Isla Nublar, un finale gotico non privo di suggestioni horror ed una maggiore enfasi polemica sui conflitti tra scienza ed etica o tra avidità e compassione, il risultato finale è confuso, moraleggiante, farraginoso, didascalico e retorico nelle sue invettive naturaliste. Non mancano comunque le sequenze di forte impatto suggestivo (su tutte quelle di tetra suspense orripilante nel maniero Lockwood), e l'intrattenimento d'azione per gli amanti delle "lucertole giganti" resta garantito. Emerge però a tratti un certo senso di stanchezza, anche se gli incassi mondiali della pellicola sono stati altissimi, avvicinandosi a quelli del predecessore. Belle e funzionali le musiche dell'italo-americano Michael Giacchino, che "fanno il verso" ai celeberrimi temi originali di John Williams.

Voto:
voto: 2,5/5